Negli ultimi anni si sta assistendo ad un sempre crescente coinvolgimento nei processi penali delle persone giuridiche.
In proposito, appare di particolare interesse un’ordinanza, emessa dal Tribunale Penale di Bari il 22 giugno 2022, che (sul solco di altri analoghi pronunciamenti dei Tribunali di Milano, Modena, Bologna e Spoleto) ha riconosciuto compatibile l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova con il sistema della responsabilità ex d.lgs. 231/2001.
A tal proposito, il Tribunale barese ha ritenuto che dall’applicazione di tale istituto non derivi alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia si applica solo quando questo genera effetti sfavorevoli nei confronti dell’imputato.
Nel caso che ci occupa appare evidente, appunto, come l’istituto della messa alla prova per l’ente determini un ampliamento delle procedure speciali a disposizione degli enti consentendo ad essi, quindi, una migliore definizione delle vicende processuali.
Secondo il Tribunale, il difetto di coordinamento tra la disciplina della messa alla prova e il d.lgs. 231 /2001, non è da considerare come una volontà del legislatore di escludere le personalità giuridiche dall’istituto; la ratio del procedimento speciale in oggetto, infatti, è quella di deflazionare il carico processuale permettendo il reinserimento sociale anticipato dell’imputato.
L’introduzione del sistema di responsabilità del reato ex art. 231/2001 d.lgs., risponde pertanto, all’esigenza di prevenzione dal crimine, da perseguire tramite la rieducazione dell’ente.
Infatti il d.lgs. 231/2001 si ispira alla logica della prevenzione speciale in chiave educativa e conseguenzialmente mira ad indurre l’ente ad adottare tutti quei comportamenti riparatori nei confronti della persona offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instauratosi con l’illecito, nonché a realizzare concreti modelli organizzativi che possano incidere strutturalmente sulla cultura dell’impresa, consentendo al soggetto di continuare ad operare sul mercato nel rispetto della legalità.
Inoltre, è opportuno specificare come nell’ordinanza il giudice penale non ha ritenuto significativa la circostanza che le previsioni specifiche per i provvedimenti speciali nei confronti degli enti non menzionino l’istituto della messa alla prova.
Infatti, il Tribunale di Bari ha ritenuto che questa mancanza sia da ricondurre solo ed esclusivamente ad una svista del legislatore e non anche ad una manifesta volontà di escludere gli enti dall’applicazione del procedimento speciale.
Inoltre, in relazione alla messa alla prova dell’ente, tale possibilità processuale non determinerebbe nemmeno un’elusione dell’art. 17 del d.lgs. 231/2001, atteso che l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova.
Infatti, se, da un lato, l’art. 17 stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente realizzi le cosiddette condotte riparatorie, viceversa la messa alla prova ha un oggetto molto più ampio, prevedendo anche l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità.
Infine, è opportuno sottolineare, come in relazione all’opportunità di dotarsi o meno di un modello organizzativo al fine di accedere alla messa alla prova, il Tribunale, nell’ordinanza in analisi, ha spiegato come la finalità rieducativa dell’ente non è pregiudicata laddove quest’ultimo si doti del modello prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, anche quando ciò avvenga dopo la commissione del reato presupposto.
Avv. Ottaviano Pavone – socio fondatore Unione Avvocatura Siciliana
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