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La validità del mutuo solutorio

In riferimento all’argomento evidenziato, verrà analizzata una sentenza della Terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione n.23149 pubblicata in data 25/7/2022, la quale ha ritenuto valido il mutuo erogato da un istituto di credito ad un proprio cliente per fare in modo che quest’ultimo possa ripianare le proprie passività pregresse.

Partendo dal caso specifico si evidenzia che una Banca aveva concesso ad un proprio correntista, che già era suo debitore, un mutuo ipotecario che venne contestualmente imputato a ripianamento dell’esposizione pregressa del mutuatario verso la banca. Il mutuo non venne restituito e nel 2012 la società cessionaria del credito da parte della Banca iniziò l’esecuzione forzata in danno degli eredi del debitore, nelle more deceduto.

Quale titolo esecutivo venne azionato il contratto di mutuo.

Gli eredi del cliente della Banca proposero opposizione all’esecuzione dinanzi al Tribunale di Verbania, sostenendo che il contratto di mutuo era nullo, perché utilizzato per ripianare un debito pregresso deducendo sul punto che in tal modo ne era stata distorta la causa tipica, e inoltre che il passivo del conto corrente, a ripianamento del quale era stato concesso dalla banca al correntista il mutuo ipotecario, era stato determinato applicando interessi anatocistici ed ultralegali oltre che una commissione di massimo scoperto non dovuta.

Il Tribunale di Verbania con sentenza 31.3.2014 n. 202 rigettò l’opposizione, sul presupposto che il contratto di mutuo concesso per pagare un debito del mutuatario verso il mutuante non fosse nullo.

La sentenza venne appellata dai soccombenti limitatamente alla questione concernente la validità del mutuo. La Corte d’appello di Torino con sentenza del 16/6/2015 n.1184 dichiarò in primo luogo l’appello tardivo.

La sentenza d’appello venne cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione con ordinanza 27/3/2017 n.7824, sul presupposto che avendo gli opponenti proposto sia una domanda di accertamento della nullità del titolo esecutivo, sia una domanda di accertamento della nullità di taluni patti del contratto di conto corrente (per il cui ripianamento venne stipulato il mutuo), la connessione delle due domande assoggettava il processo alla regola della sospensione dei termini feriali, erroneamente esclusa dalla Corte d’appello.

Riassunto il giudizio, con sentenza 25/7/2018 n.13857 la Corte d’Appello di Torino rigettò il gravame, rilevando che il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo; che pertanto la somma data a mutuo può essere impiegata in qualunque modo e che di conseguenza il contratto era valido, così come valida era l’ipoteca concessa a garanzia di esso, dal momento che “garantire crediti pregressi con la costituzione di un’ipoteca non è vietato dalla legge”.

La sentenza d’appello venne impugnata con ricorso per Cassazione fondato su due motivi. Con il primo motivo i ricorrenti lamentarono, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 38 d. lgs. 1.9.1993 n. 385 (Testo Unico Bancario) e 15 d.p.r. 29-09-1973 n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie). Muovendo dal presupposto che il contratto di mutuo può avere come unica causa la “erogazione di liquidità”, dedussero che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto valido un contratto di mutuo che, essendo servito ad assolvere una funzione di garanzia, doveva ritenersi nullo.

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha ritenuto il motivo infondato in quanto il mutuo stipulato per ripianare un debito pregresso del mutuatario verso il mutuante non è nullo. Esso infatti non sarebbe contrario né a norme di legge né all’ordine pubblico, posto che il pagare i propri debiti è – esso sì – principio di ordine pubblico. Non può escludersi in astratto che la concessione d’un mutuo c.d. “solutorio” possa nel singolo caso celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento: ma in tali casi l’atto sarà nullo o revocabile per questa ragione, e non perché sia stato concesso allo scopo di saldare un debito pregresso. E nel giudizio promosso dagli opponenti , quest’ultimi non hanno mai fatto questione né di revocatoria, né di ammissione ad un passivo fallimentare. Del resto, che mutui e finanziamenti persino agevolati od erogati dallo Stato possano essere utilizzati per estinguere debiti pregressi, anche verso lo Stato stesso, è previsto in alcuni casi dalla legge [art. 2 l. 8.8.1977 n. 546; art. 43 d.l. 18.11.1966 n. 976 (convertito dalla l. 23.12.1966 n. 1142); art. 16 r.d.l. 15.4.1926 n. 765], sicché appare arduo dichiarare la nullità d’una operazione consentita dalla legge.

I suddetti principi sono pacifici e risalenti nella giurisprudenza della Corte, che, salve alcune eccezioni di orientamento si cui si dirà in prosieguo, ha ritenuto che il mutuo solutorio non è nullo, perché “il ripianamento della passività costituisce in definitiva una possibile modalità di impiego dell’importo mutuato” (Sez. 3 – Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021) .

Inoltre con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto superato il precedente orientamento secondo cui il mutuo solutorio potrebbe essere considerato un contratto simulato oppure illecito in quanto “il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182-bis e 182-quater della legge fall.” (Sez. 1 Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021); peraltro, “il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576)”.

Nella sentenza in parola la Corte di Cassazione per argomentare sulla validità del mutuo solutorio ha altresì evidenziato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto (Sez. 1 , Ordinanza n. 4694 del 22/02/2019) e il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che il contratto abbia le caratteristiche del mutuo cd. di scopo, nel quale sia previsto l’obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. (Sez. 1, Sentenza n.1945 del 08/03/1999).

In verità negli ultimi anni, è anche affiorato un orientamento della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui, quando l’intero mutuo sia destinato a ripianare un debito pregresso, tale operazione andrebbe qualificata non come un contratto autonomo, ma come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente, o pactum de non petendo che dir si voglia (così Sez. 1 Ordinanza n. 20896 del 05/08/2019, e Sez. 1 Sentenza n. 1517 del 25/01/2021,) con la conseguenza – comunque non invocata dai ricorrenti nella causa in commento – che il titolo esecutivo rappresentato dal mutuo solutorio in realtà non sarebbe tale, poiché il credito scaturirebbe dal contratto pregresso, non dal mutuo stipulato per estinguerlo (che, come detto, costituirebbe una pura dilazione di pagamento).

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha preso le distanze da tale ultimo orientamento indicando l’assunto secondo cui il mutuo solutorio costituirebbe un pactum de non petendo anche se con esso “non vi è spostamento di denaro” dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario giungendo a ritenere che nel contratto di mutuo la datio rei deve essere giuridica e non fisica, con la conseguenza che anche l’accredito in conto corrente basta a tal fine (ex permultis, Sez. 3 – , Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, e Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999).

In secondo luogo, il “patrimonio” di ogni persona si compone di beni materiali, beni immateriali e crediti. E chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio d’una posta negativa: dunque la consistenza del patrimonio del mutuatario cambia, e se cambia è arduo sostenere che non vi è stato “spostamento di denaro”.

In terzo luogo, il pagamento di una somma di euro 285.000 euro (tale era l’importo del mutuo erogato oggetto di causa ) non poteva all’epoca in cui venne erogato (31.1.2008), avvenire in contanti, ma solo per accredito in conto corrente (art. 49, comma primo, d. lgs. 21.11.2007 n. 231, che all’epoca fissava in euro 5.000 il tetto dei pagamenti consentiti in contante). Negare, quindi, che si sia al cospetto d’un mutuo quando l’accredito al mutuante avvenga in via contabile significa sostenere un’interpretazione contrastante con le norme sull’uso del contante.

Inoltre la Corte ha anche evidenziato che sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla “natura tipologica” del contratto di mutuo perché si ridurrebbe ad una “partita contabile” potrebbe essere un’affermazione non in linea con la attualità di un’epoca di moneta elettronica, in cui qualsiasi solutio si riduce ad una “partita contabile”. Infatti, anche il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, PayPal, a ben riflettere, altro non è che una “annotazione” contabile o una delegatio solvendi, attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili e tenuto altresì conto che sia la normativa antiriciclaggio che le misure normative tese a limitare l’uso di contante nelle transazioni commerciali hanno accentuato l’utilizzo di strumenti alternativi ad trasferimento di danaro” (Sez. 1, Sentenza n. 38331 del 3.12.2021).

In quinto luogo, la tesi del pactum de non petendo svela la sua fragilità quando il credito estinto e il mutuo concesso per estinguerlo fossero soggetti a regole diverse quanto a interessi, accessori e garanzie (anche personali).

Da ultimo, ma è quel che più rileva, la tesi del pactum non petendo mortifica la libertà negoziale delle parti, negando loro la facoltà di stipulare accordi di ristrutturazione atipici. La novazione oggettiva o la dilazione del pagamento, infatti, sono istituti previsti dall’ordinamento cui le parti potrebbero tranquillamente ricorrere. Se non lo fanno, e preferiscono ricorrere ad un mutuo solutorio, tale scelta costituisce un esercizio di libertà negoziale da tutelare, non un atto da sopprimere sol perché non gradito alle personali convinzioni giuridiche.

Pertanto, dinanzi ad un mutuo solutorio, in conclusione, il mutuatario resta libero di invocare un vizio del consenso, un approfittamento dello stato di bisogno o un accordo simulatorio, ma se non vi riesce, è giusto consequenziale rassegnarsi al principio pacta sunt servanda.

Avv. Giacomo Marino, socio fondatore dell’Unione Avvocatura Siciliana

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