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I VERBALI DELLE C.M.O.: PROVE O MERI INDIZI ?

Interessante Ordinanza della Cassazione Civile, sez. III, la n. 32077 del 31/10/2022 in cui viene rimessa al Primo Presidente per la eventuale assegnazione alle  Sezioni Unite, la questione interpretativa circa il valore di prova o di mero indizio da attribuire ai verbali delle Commissioni Mediche Ospedaliere.

Tale pronuncia ha preso in esame il caso di Tizio, il quale nel 1988 è stato ricoverato presso una casa di cura ed in occasione di un intervento chirurgico è stato emotrasfuso. Nel 2004 egli ha scoperto di aver contratto l’HIV, e pertanto, ha presentato l’istanza di cui alla L.210/1992 al fine di ottenere il beneficio di legge dell’indennizzo. Esaminata l’istanza, la C.M.O. (Commissione Medica Ospedaliera) ha riconosciuto al richiedente l’invalidità, il nesso di causalità e l’ascrivibilità tabellare. Tizio, sulla scorta di tale verbale, ha evocato in giudizio sia la struttura sanitaria che il Ministero della Salute innanzi al Giudice Civile onde ottenere il risarcimento del danno. Ebbene, nonostante la CTU abbia negato il nesso di causalità, il Tribunale in primis e la Corte d’Appello in seguito hanno condannano il Ministero al risarcimento del danno. Adita la Suprema Corte da parte del Ministero, è stata posta all’attenzione della stessa la questione inerente al valore probatorio del verbale emesso dalla Commissione Medica Ospedaliera, e se ad esso debba essere attribuito il valore di atto pubblico fidefacente, di prova legale, ovvero se ad esso debba essere attribuito valore confessorio o di natura puramente indiziaria.

E’ bene precisare che, secondo l’orientamento consolidato e dettato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 577/2008 “i verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 – istituita ai fini dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanza irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati – fanno piena prova, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenute costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova ma non può mai attribuire loro valore di vero e proprio accertamento.” Orbene, è opportuno evidenziare che, per circa dieci anni è stato seguito il dettato della Sezioni Unite, nel ritenere la natura puramente indiziaria dei verbali di accertamento emessi dalla C.M.O. (si veda Cass. Civ. 11889/2015; Cass. S.U. 22550/2014; Cass. Civ. 7548/2006; Cass. Civ. 13449/2004; Cass.Civ.  n. 7201/2003; Cas. Civ. 10128/2003). Tuttavia, a partire dal 2018 si è sviluppato un conflitto giurisprudenziale in merito alla natura di detti verbali e del valore probatorio degli stessi, scaturente dalla circostanza che le C.M.O. sono organi del Ministero.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15734 del 15/06/2018, ha dettato il principio secondo cui “nel giudizio concernente il risarcimento di danno da emotrasfusione promosso dal danneggiato avverso il Ministero della Salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio a una emotrasfusione, effettuato dalla Commissione di cui all’art. 4 della L. 210/1992  in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo previsto da tale legge, non può essere messo in discussione dal Ministero quanto appunto alla riconduciblità del contagio all’emotrasfusione, che il giudice deve ritenere fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto essendo detta Commissione organo dello Stato, l’accertamento è imputabile allo stesso Ministero”. Seguire tale orientamento significa equiparare l’accertamento della Commissione medica ad un atto confessorio e ad un’attestazione pubblica fidefacente (conforme Cass. n. 13008/2020). Tale assetto interpretativo ritiene non applicabile il dettato delle Sezioni Unite perché si riferirebbe solo ai verbali delle Commissioni Mediche utilizzati contro le U.S.L. e non contro il Ministero. Infatti, viene pure richiamata la sentenza della Cassazione n. 12009 del 16/05/2017, la quale precisa che: “in tema di danni da emotrasfusione, la sentenza di accertamento del diritto all’indennizzo ai sensi della L. 210/1992, emessa nei confronti del Ministero della Salute, non ha efficacia di giudicato nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro l’azienda ospedaliera, mancando il necessario presupposto dell’identità delle parti, ma assume valore di indizio, soggetto alla libera valutazione del giudice”. In seguito, la stessa Cassazione con la sentenza n. 24523 del 5/10/2018, ha sposato un diverso ragionamento logico-giuridico, secondo cui “ in tema di danni da emotrasfusione, la pronuncia di cessazione della materia del contendere, emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. 210/1992, sul presupposto dell’accoglimento del ricorso amministrativo avverso corrispondente al diniego, ha efficacia di giudicato sussistendo l’identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno”. Gli Ermellini, nel formulare tale principio, tengono conto dell’accoglimento del ricorso amministrativo avverso il diniego dell’indennizzo e della sua ricaduta giurisdizionale, e non dell’esito dell’attività svolta dalla commissione medica.

Orbene, la criticità, in merito alla natura delle Commissioni Mediche, risale al ruolo che dette Commissioni hanno in campo giuslavoristico e previdenziale, laddove, alle stesse viene riconosciuta una discrezionalità tecnica, non amministrativa, non spettando ad esse alcun potere autorizzativo a cui possa contrapporsi un interesse legittimo del soggetto privato. L’attività di mero accertamento e valutazione puramente tecnica delle Commissioni è sempre la medesima sia che serva al riconoscimento o alla negazione del diritto alla pensione, all’assegno di invalidità civile, indennità di accompagnamento, sia che sia strumentale ad altri benefici. (Cass. S.U. n. 22550/2014). Sempre la Sezione Lavoro della Suprema Corte con l’ordinanza n. 9235 del 06/04/2021, ha provveduto a ribadire la discrezionalità tecnica attribuita alle Commissioni, escludendo ogni natura provvedimentale nei loro accertamenti, in quanto strumentali e preordinati all’adozione  del provvedimento  di attribuzione della prestazione, in corrispondenza di funzioni di certazione assegnate alle indicate commissioni (conformi Cass., sez. lav. n. 16569/2015; Cass., sez. lav. n. 11908/2006, Cass. Sez. lav. n. 7548/2006).

Da ultimo, visto il contrasto giurisprudenziale in atto, il Collegio, con l’ordinanza in commento, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente perché possa valutare l’opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite della Suprema Corte ai sensi dell’articolo 374 c.p.c.

A parere della scrivente, vista che nel caso di diniego del beneficio di legge di cui alla L.210/92, avverso i verbali di accertamento negativo, deve procedersi gerarchicamente innanzi al Ministero, tenendo anche conto della responsabilità che vige in capo allo stesso, il quale ha l’obbligo di vigilare ed attivarsi per evitare o quantomeno ridurre i rischi di contagio insiti nella pratica terapeutica della trasfusione di sangue e dell’uso degli emoderivati, sarebbe coerente attribuire a detti verbali valore di prova fidefacente.

Infine, considerando le pronunce della Cassazione che negli ultimi anni si sono discostate  dall’orientamento consolidato, che ne ha tratteggiato ruolo e funzioni, si auspica la rimessione alle Sezioni Unite affinchè dirima il contrasto in atto.

Avv. Valentina Marchese, Vice Presidente della Sezione di Catania dell’Unione Avvocatura Siciliana

 

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