Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 33645, del 15 novembre 2022, hanno composto il contrasto esistente nella giurisprudenza delle Sezioni semplici sul tema della natura, in re ipsa o meno, del risarcimento del danno da occupazione di immobile senza titolo.
A dimostrazione della profondità della contrapposizione, vengono richiamate nella sentenza due distinte ordinanze interlocutorie, la n. 1162 del 2022 della Terza Sezione Civile e la n. 3946 del 2022 della Seconda Sezione Civile, che chiedono la rimessione della questione alle SS.UU. partendo da presupposti diametralmente opposti.
Secondo la Terza Sezione Civile, infatti, il danno in re ipsa, giungendo ad identificare il pregiudizio con l’evento dannoso, configura un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo, perché il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio, laddove invece ciò che rileva a fini risarcitori è il danno-conseguenza, per cui il danno da occupazione sine titulo può essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, fermo restando che tale alleggerimento dell’onere probatorio non può arrivare ad esonerare la parte dall’onere di allegare i fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.
La Seconda Sezione Civile, invece, nella sua ordinanza interlocutoria, ritiene che l’impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l’utilità diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialità di una fruizione, ragion per cui la prova del danno conseguenza (l’impedimento al godimento del fondo), coincidendo ed esaurendosi in quella del fatto generatore del danno (l’occupazione del fondo), è in re ipsa, e va liquidato sulla base della durata dell’occupazione, provata dal proprietario, e se del caso mediante il valore locativo di mercato quale tecnica, fra le varie possibili, di liquidazione equitativa.
Le Sezioni Unite, muovendo formalmente da quest’ultima ordinanza ma richiamando nel percorso motivazionale anche la precedente interlocutoria, delimitano, anzitutto, il campo dell’indagine, precisando che:
a) il punto di divergenza fra gli orientamenti che esse esprimono riguarda esclusivamente il profilo del danno emergente, ossia la perdita subita dal proprietario per il sol fatto che la sua facoltà di godimento diretto o indiretto sia stata limitata o esclusa dall’altrui occupazione abusiva, escludendo invece entrambe le ordinanze che un danno in re ipsa sia configurabile in relazione al lucro cessante, dovendo le occasioni di guadagno essere sempre oggetto di specifica prova, anche a mezzo di presunzioni;
b) i casi di occupazione abusiva che danno luogo al contrasto in merito alla natura del danno che provocano sono quelli caratterizzati dall’originario difetto di titolo e che rientrano nell’ambito della responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ. e non già quelli derivanti dal sopravvenuto venir meno del titolo, che ab origine giustificava l’occupazione dell’immobile, per quali viene in rilievo la specifica disciplina della estinzione del rapporto contrattuale (quella dettata, ad esempio, dall’art. 1591 per ciò che concerne la locazione).
Precisato quanto sopra, le SS.UU. rilevano che le due ordinanze interlocutorie esprimono una divergenza reale, derivando da un differente approccio alla concezione stessa del danno: l’orientamento della Terza Sezione Civile, infatti, è ispirato dalla c.d. teoria causale del danno, secondo cui il pregiudizio risarcibile non è dato dalla lesione della situazione giuridica, ma dal danno conseguenza derivato dall’evento di danno corrispondente alla detta lesione, mentre la tesi del danno in re ipsa, fatta propria dalla Seconda Sezione, è debitrice della concezione normativa, elaborata dalla dottrina tedesca, secondo cui l’oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato, da cui l’esistenza del pregiudizio per il sol fatto della violazione del diritto medesimo.
Ebbene, le Sezioni Unite compongono il contrasto tra le suddette tesi non aderendo integralmente all’una o all’altra, ma mediando tra la stesse.
La questione posta dal contrasto è, “al fondo, se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria” e a tale quesito “semplificato” le Sezioni Unite rispondono positivamente, nei termini emersi nella richiamata linea evolutiva della giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, sostituendo però alla locuzione “danno in re ipsa” quella di “danno presunto” o “danno normale”.
Nel caso di occupazione illegittima di un immobile, cioè, il danno subito dal proprietario è oggetto di una presunzione iuris tantum, basata sull’id quod plerumque accidit, che discende dalla normale fruttuosità del bene, e che, in quanto presunzione relativa, ammette la prova contraria da parte dell’occupante della infruttuosità del cespite o del suo non uso prolungato.
Le Sezioni Unite pervengono al superiore punto di arresto muovendo dal presupposto che il contenuto del diritto di proprietà di cui all’art. 832 c.c.
si compone non solo della facoltà di disposizione del medesimo, ma anche della della facoltà di godimento del bene, diretto o indiretto, che, laddove compressa da una condotta illecita altrui che ne impedisce l’esercizio “pieno ed esclusivo”, è meritevole di tutela risarcitoria.
Sul piano processuale, ciò si traduce nell’onere per il proprietario/attore leso di allegare la concreta possibilità di godimento del bene e, quindi, il pregiudizio derivante dalla impossibilità di usarlo effettivamente o anche solo potenzialmente, che, una volta assolto, fa insorgere in suo favore una presunzione relativa di danno, che può essere superata dall’occupante/convenuto dalla prova contraria dell’insussistenza dell’uso reale o anche solo potenziale del bene (poiché il non uso, pur rientrando tra le facoltà riconosciute al proprietario, non è suscettibile di tutela risarcitoria) e, dunque, della inesistenza di qualsivoglia pregiudizio patrimonialmente apprezzabile al contenuto del diritto di proprietà, ferma restando l’operatività del principio di non contestazione da cui deriva per l’occupante l’onere di prendere specifica posizione sui fatti allegati dall’attore onde evitare gli effetti previsti dall’art. 115 c.p.c..
Una volta che il proprietario/attore abbia adempiuto all’onere di allegazione su di lui incombente e sempre che l’occupante/convenuto non abbia fornito la prova contraria del “non uso” e/o della infruttuosità del bene, l’entità del danno, sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto (mediante, cioè, concessione in locazione del cespite), può essere valutata equitativamente dal Giudice di merito ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa.
Se, poi, la domanda risarcitoria ha ad oggetto non soltanto il danno emergente, come sopra delineato, ma anche il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, il più gravoso onere di allegazione e (questa volta anche) di prova per il proprietario/attore riguarda gli specifici pregiudizi patiti, come ad esempio le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (rientrando, come detto, il godimento perduto con il canone locativo di mercato nell’ambito del danno emergente presunto).
In conclusione, i principi di diritto affermati dalla sentenza n. 33645/2022, sono i seguenti:
– “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta”;
– “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato”;
“nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato”.
Avv. Alessandro Scalia, socio fondatore Unione Avvocatura Siciliana e Presidente della Sezione di Palermo.