L’argomento affrontato è relativo all’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni e, precisamente, fino a che età i genitori devono contribuire, in relazione alla relativa capacità, al loro mantenimento.
E’ l’articolo 147 c.c. che prevede l’obbligo per entrambi i coniugi di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315 bis c.c.
Il genitore non può sottrarsi a tale obbligazione essendovi tenuto sin dalla nascita del figlio.
L’obbligo sussiste per il solo fatto di averli generati e non cessa con il raggiungimento della maggiore età.
Va osservato che la legge non fissa un’età limite oltre la quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente.
Tale obbligo però non può durare in eterno e non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo.
Sul punto diversi i precedenti assunti dalla giurisprudenza che nel corso degli anni hanno fissato un vero e proprio confine, una sorta di tetto massimo.
Invero, mediante considerazioni di buon senso, spesso richiamate dalla giurisprudenza, si è sempre sottolineato che al di sopra dei trent’anni è lecito presumere che un figlio abbia completato la propria formazione nonché abbia avuto il tempo per trovare di che mantenersi.
Soccorre in tale delicata problematica il principio dell’auto-responsabilità dei soggetti secondo il quale non è necessaria una prescrizione legislativa che fissi in modo specifico l’età in cui l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne viene meno, in quanto, sulla base del sistema positivo, tale limite è già rinvenibile e risiede nel raggiungimento della maggiore età, salva la prova (sovente raggiunta agevolmente ed in via indiziaria) che il diritto permanga per l’esistenza di un percorso di studi o, più in generale, formativo in fieri, in costanza di un tempo ancora necessario per la ricerca comunque di un lavoro o sistemazione che assicuri l’autonomia e l’indipendenza economica.
Il principio dell’auto-responsabilità impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, dal momento che l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione nel rispetto delle capacità, inclinazioni ed aspirazioni del figlio.
La giurisprudenza, al fine di evitare condotte parassitiche ad libitum ai danni dei genitori, ha sancito la necessità di accertare il comportamento incolpevole del figlio per non aver raggiunto l’indipendenza economica.
Parallelamente l’obbligo dei genitori al mantenimento del figlio maggiorenne trova un limite ineludibile, come vedremo in seguito, nella conclusione del percorso formativo da parte del figlio che consenta l’utile attivazione dello stesso nella ricerca di un lavoro.
Come accennato sopra nel nostro ordinamento non esiste un limite di età prestabilito oltre il quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli.
Tuttavia, al raggiungimento della maggiore età il figlio diviene responsabile, ritenendosi raggiunta la capacità lavorativa e con essa l’idoneità al reddito con relativa indipendenza economica.
Quest’ultima si raggiunge con un reddito certo, ma non necessariamente elevato o in linea con le ambizioni del giovane.
Il concetto è quello della c.d. capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato.
Tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento ricordiamo fra le altre:
-
La condizione di una peculiare minorazione o debolezza della capacità personale, pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci;
-
La prosecuzione di studi ultra liceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso;
-
L’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti dal figlio nell’ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro;
-
La mancanza di qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale.
Per stabilire quando cessa l’obbligo di mantenere i figli maggiorenni bisogna, comunque, considerare una serie di fattori.
Nel caso di proseguimento degli studi pesa, innanzitutto, come detto sopra, il percorso formativo e l’ambiente in cui è inserito.
Se è vero che i genitori hanno l’obbligo di non far mancare nulla al figlio finché questi non è economicamente indipendente, dall’altro lato è dovere del figlio far di tutto (auto-responsabilità) per rendersi autonomo il prima possibile.
Il che significa che, se il figlio ha deciso di intraprendere l’università, deve dimostrare di dare esami e di progredire con profitto negli studi.
Dopo la laurea, si ribadisce, gli sarà dato il tempo per l’eventuale formazione post accademica, come ad esempio quella derivante dal tirocinio formativo o da eventuali stage.
Il tutto però non oltre i limiti sopra individuati dei trent’anni.
A questa età il figlio deve definitivamente emanciparsi dai genitori iniziando a trovarsi comunque un lavoro, quindi anche al di fuori del campo di studi prescelto, se il mercato non offre altre opportunità.
Anche su questo aspetto la giurisprudenza (Corte Cassazione n. 17183/2020) ha chiarito che le ambizioni di un figlio ben possono ridimensionarsi in nome della dignità di una propria autonomia e in nome dell’obbligo morale (auto-responsabilità) di non chiedere ai propri genitori un sacrificio maggiore di quello che si è disposti a fare in prima persona.
Con tale ordinanza la Corte dà risposta al diffuso alibi dei maggiorenni ovvero non aver trovato una occupazione adeguata e confacente alla ambizioni legittimamente coltivate, visti i propri titoli di studio, prendendo in siffatto modo le distanze anche da precedenti di legittimità (ad esempio Cass. 1830/2011, che subordina la rinuncia al mantenimento alla “percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita”).
Dimostrando grande modernità e adeguatezza la Cassazione invita il figlio maggiorenne a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi.
Ciò che si chiede al figlio maggiorenne è di attivarsi con tutte le sue forze e possibilità per la ricerca di un’occupazione lavorativa e, se del caso, anche scendendo a compromessi laddove l’impiego offerto non dovesse essere totalmente rispondente alle proprie inclinazioni.
Invero non può pretendersi dal genitore il prolungamento del mantenimento fino a quando le condizioni del mercato del lavoro consentano al figlio lo svolgimento di un’attività all’altezza della sua professionalità.
Se invece il figlio ha preferito non proseguire gli studi, la sua ricerca di occupazione dovrà avvenire immediatamente, in questo caso con maggior adattamento al mercato ed accettando anche lavori manuali.
L’obbligo di mantenimento cessa quando il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica sia riconducibile all’assenza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all’acquisizione di competenze professionali o dipenda da inerzia nella ricerca o dal rifiuto ingiustificato di offerte o dall’abbandono volontario dal lavoro.
Su quest’ultimo aspetto, sempre la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 16771/2022, ha spiegato le ragioni per cui non spetta più l’assegno di mantenimento alla figlia maggiorenne poiché il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica è imputabile alla stessa a causa della mancanza di un progetto formativo e per aver rifiutato diverse offerte lavorative.
Come correttamente chiarito dalla Corte, il mantenimento per i figli non ha una funzione assistenziale illimitata nel tempo.
L’obbligo di mantenimento viene meno se il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica è frutto della mancanza di impegno verso un progetto formativo preciso.
Di rilievo sulla tematica affrontata risulta essere l’ordinanza della Cassazione (Cass. Civ., sezione I, ord. 11.03.2022 n. 8149) che prende netta posizione sui c.d. “bamboccioni”.
In particolare, la vicenda sottoposta all’esame della Corte, ha riguardato la richiesta di un padre di revocare l’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in quanto erano passati sei anni dal conseguimento della licenza media, senza che quest’ultimo avesse trovato un lavoro, né avesse intrapreso un percorso di formazione.
Per la Cassazione l’obbligo del genitore non convivente di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori.
Su tale severo orientamento nei confronti dei figli maggiorenni non autonomi economicamente si pone anche la più recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 29264 del 7 ottobre 2022.
La Corte, ritornando sul tema, revoca l’assegno di mantenimento riconosciuto alla figlia che ha ormai trent’anni.
Rileva la Cassazione che la figlia con la sua condotta non esprime il desiderio di rendersi autonoma economicamente dal padre come se l’obbligo di mantenimento fosse a tempo indeterminato.
Censurando la tesi sostenuta dai giudici di merito, la Suprema Corte ribadisce che “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente non può soddisfare l’esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione mera dell’obbligo di mantenimento del genitore, quasi che quest’ultimo sia destinato ad andare avanti per sempre”.
Ritorna sempre il concetto dell’auto-responsabilità nel momento in cui la Corte, evidenziando l’assenza di un comportamento responsabile della figlia e di una volontà di raggiungere l’autonomia, sollecita l’attivazione della stessa a chiedere forme di sostegno sociale anziché vivere con le risorse del padre, “il figlio deve far fronte al suo stato attraverso i diversi strumenti di ausilio ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito”.
In tal modo, la Corte stabilisce che il figlio maggiorenne non autosufficiente possa usufruire di taluni aiuti sociali, come ad esempio il reddito di cittadinanza, fermo restando, comunque, l’obbligo alimentare ex art. 433 c.c., da azionarsi al fine di supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso.
Netta, dunque, la posizione fortemente assunta dai citati recenti orientamenti della Suprema Corte che attribuiscono maggior valore al principio di auto-responsabilità dei figli maggiorenni che supera e fa retrocedere ogni forma di assistenzialismo a carico dei genitori allorquando i limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione siano nettamente superati.
Ed ancora, innovativa risulta la posizione assunta dalla Corte, che vira nella direzione della responsabilizzazione dei figli, per i quali è sufficiente il raggiungimento di un lavoro precario, anche non in linea con il percorso formativo svolto, a condizione che garantisca la possibilità di vivere in modo dignitoso ed autonomo.
Laddove emerga l’atteggiamento inerte del figlio maggiorenne che non abbia saputo o voluto adoperarsi per il raggiungimento dell’autosufficienza economica egli sarà considerato colpevole e ciò determinerà l’esonero dei genitori dalla corresponsione dell’obbligo di mantenimento, pur restando fermo il contributo genitoriale per i soli alimenti.
Per completezza e quasi a mitigare il rigore e la severità dei precedenti sopra riportati si segnala la ordinanza n. 31349/2022 della Suprema Corte che nei confronti del figlio maggiorenne non autonomo economicamente riconosce il diritto al mantenimento, anche in forma ridotta, perché, comunque, accetti lavori precari e saltuari.
Sostiene la Corte che non si può negare un aiuto economico al figlio che si impegna nel cercare lavoro e si adatta, accettando offerte lavorative poco remunerate.
Nella vicenda il figlio maggiorenne non era economicamente autosufficiente poiché lo stesso svolgeva in modo saltuario attività di operatore di call center ottenendo il riconoscimento, pertanto, del diritto al mantenimento, in virtù del suo impegno nel cercare l’indipendenza economica e dimostrando di essersi attivato nella ricerca per rendersi autonomo, anche ridimensionando le proprie aspettative in attesa di migliori occasioni.