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EFFICACIA DELLA SENTENZA PENALE DI ASSOLUZIONE NEL GIUDIZIO CIVILE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO

La pronuncia del giudice nel processo penale può avere degli effetti anche in altri procedimenti, come quello civile o amministrativo o disciplinare.

Il procedimento penale, avendo la funzione di accertare o meno la responsabilità dell’imputato sul fatto criminoso posto in essere, ha sicuramente degli effetti anche su ciò che al reato è strettamente connesso in molti casi, come l’azione per il risarcimento del danno da esso derivante.

La questione è disciplinata dall’art. 652 c.p.p., a norma del quale: “la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75 comma 2“.

La disposizione di cui all’art. 652, come quelle degli arti. 651, 653 e 654, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti nelle predette disposizioni.

Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno; diversamente le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ed il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione.

Tra i vari casi di assoluzione, quelli che quindi rilevano sono sostanzialmente tre:

  • il fatto non sussiste;
  • l’imputato non lo ha commesso;
  • il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.

Questi tre casi stabiliscono l’estraneità dell’imputato ai fatti contestati, pertanto non vi è responsabilità in capo all’imputato e ciò implica, allo stesso tempo, che non dovrà risarcire o riparare alcun danno.

Sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare una sentenza che non lo assolve con la formula più favorevole, in quanto dalla modifica del provvedimento impugnato – da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione – può derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame: ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Infatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole.

In definitiva, l’imputato può conseguire, dalla sentenza assolutoria con formula più favorevole, conseguenze più vantaggiose in altri settori dell’ordinamento ed in ciò va ravvisato il suo interesse ad impugnare

Risalta all’occhio la mancanza della formula assolutoria “il fatto non costituisce reato“.
Ed in effetti, la norma non prevede tale formula, ragion per cui si è tenuti a pensare che tale formula non liberi completamente da responsabilità l’imputato che, seppur assolto, dovrà affrontare comunque il giudizio civile.

Sul punto vi è, a ben vedere, un contrasto giurisprudenziale ancora non risolto dalle Sezioni Unite.

Infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte ha offerto, sin da epoca risalente, soluzioni non univoche, anche quanto al rapporto tra l’interesse ad impugnare della parte civile e la portata dell’effetto preclusivo che deriva, dal giudicato penale, sui giudizi civili o amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 652 c.p.p.

Per il primo orientamento “sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare, ai fini civili, la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’ (per mancanza dell’elemento psicologico), in quanto, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., l’azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa, oltre che nei casi in cui l’imputato sia stato assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, anche quando egli sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, data l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’unità della funzione giurisdizionale” (Cass. Sez. VI, sent. n. 6692/2014; cfr. Cass., Pen., Sez. IV, sent. n. 10114 del 21 novembre 2019).

In questo modo, si potrebbe, comunque, ottenere un’affermazione di responsabilità penale e tale riconoscimento di responsabilità gioverebbe certamente alla parte processuale, che esercita l’azione, anche nel giudizio civile.

L’orientamento opposto, invece, sostiene che “è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per Cassazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’, non avendo tale sentenza efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno” (Cass. Sez IV, sent. n. 42460/2018; cfr. Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 33255 del 9 luglio 2019).

Una questione che è all’evidenza di non pronta soluzione tanto da essere stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite, per il tramite della remissione della Seconda Sezione mediante l’ordinanza n. 14080/2019, depositata il 1° aprile, la quale si è occupata proprio di affrontare la problematica relativa all’interesse della parte civile ad impugnare una sentenza assolutoria, ponendo in evidenza i diversi orientamenti in materia che hanno dato pregio o meno all’aspetto della efficacia preclusiva del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo.

In particolare, dunque, ci si è interrogati sul fatto se l’impugnazione della parte civile, in tali casi, risulti inammissibile per carenza di interesse, ben potendo la stessa agire nelle opportune sedi civili per il risarcimento del danno derivante dal ‘fatto illecito’.

Saranno, quindi, le Sezioni Unite a doversi pronunciare sulla rilevanza della formula assolutoria “il fatto non costituisce reato” al pari delle altre citate dall’art. 652 c.p.p.

Avv. Miriam Vitanza, componente del Direttivo UAS Messina

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