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LA BELLEZZA PUO’ SALVARE IL MONDO (MA SOLO SE NON E’ ABUSIVA)

Un fenomeno in grande evoluzione è quello di affidare ad artisti più o meno giovani la realizzazione di dipinti murali, murales nel gergo comune, per abbellire i muri di recinzione di ville o le facciate esterne degli edifici condominiali. I soggetti di queste opere (alcune delle quali di notevole pregio artistico, altre certamente non memorabili) sono i più vari: si va dai personaggi dei cartoni animati ai grandi protagonisti dello sport o dello spettacolo, dalla raffigurazione degli uomini e delle donne che hanno fatto la storia del nostro paese a semplici riproduzione paesaggistiche. Non mancano nel vasto campionario della street art ed, anzi, predominano, le pitture allegoriche e i richiami alla tradizione astrattista, vere e proprie macchie di colore in contesti urbani talvolta degradati. Ma di fronte a siffatte manifestazioni artistiche l’attento giurista (qualcuno direbbe pignolo) ha l’obbligo di chiedersi se siano sufficienti la volontà di un generoso mecenate e la capacità artistica dell’autore per la realizzazione del murales o se, invece, occorra munirsi di titoli abilitativi da parte dei competenti enti.

La risposta la fornisce il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 1289 del 7 febbraio 2023.

Il caso riguarda la realizzazione nel 2000 di un grande murales nella facciata di un edificio nel centro storico di Napoli, in memoria di un giovane tragicamente deceduto in occasione di una rapina, commissionato da un Comitato Civico del quartiere previa acquisizione, ovviamente, dell’adesione al progetto da parte dell’assemblea dei condomini dello stabile interessato. Detta opera, tuttavia, era stata eseguita senza l’acquisizione di alcuna autorizzazione edilizia e, pertanto, il Comune di Napoli ne aveva ordinato la dismissione con conseguente riduzione in pristino, nonostante la parte committente avesse presentato una C.I.L.A. in sanatoria, ritenuta però improcedibile dall’Amministrazione per mancanza del parere della competente Soprintendenza e, comunque, per la ubicazione dell’edificio ricadente nel centro storico di Napoli, protetto da apposite norme di settore.

Il Condominio, per il tramite del suo amministratore, aveva impugnato sia l’ordinanza di rimessione in pristino che il provvedimento di non accoglimento della C.I.L.A. innanzi al TAR Campania-Napoli, che, con sentenza del 30 agosto 2021, rigettava il ricorso riconducendo la realizzazione pittorica sulla facciata del fabbricato condominiale nell’alveo della categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, come tale necessitante di una preventiva richiesta abilitativa. Inoltre, lo stesso TAR riteneva corretta la dichiarazione di improcedibilità della C.I.L.A. in sanatoria avuto riguardo alla natura non provvisoria dell’opera idonea a modificare in modo duraturo l’aspetto esteriore del fabbricato ricadente nel centro storico di Napoli “che è la risultante e la testimonianza, unica per ricchezza e complessità, di una stratificazione storica, artistica e architettonica millenaria”.

La sentenza veniva appellata dal pervicace Condominio al Consiglio di Stato, che ha rigettato l’impugnazione, confermando la decisione di primo grado, con la sentenza oggetto di commento.

I Giudici di Palazzo Spada, dopo aver premesso che la loro decisione “è inevitabilmente perimetrata con riferimento al solo scrutinio sulla qualificazione dell’opera dal punto di vista edilizio-paesaggistico nonché al rispetto delle disposizioni che disciplinano la trasformazione del territorio nella zona ove insiste il fabbricato sul quale è stato realizzato il murale”, restando estranea dal contesto decisorio ogni altra considerazione “meta-giuridica”, riguardante le finalità dell’opera (realizzata in memoria di una giovane vittima di un fatto criminoso) o il suo pregio artistico, si sono anzitutto soffermati sull’aspetto fondamentale della qualificazione giuridico-edilizia del dipinto pittorico.

Ebbene, il Consiglio di Stato ha ritenuto, anzitutto, che il dipinto murale “per il suo carattere innovativo…non può essere qualificato alla stregua di una semplice attività manutentiva rientrante nell’attività edilizia libera”, ai sensi del D.M. 2 marzo 2018 del Ministero delle Infrastrutture, non trattandosi di semplice tinteggiatura finalizzata a ripristinare la colorazione preesistente ma di un intervento che si propone di “reimpostare il significato dell’aspetto esterno dell’edificio”.

L’opera, secondo il Supremo Collegio amministrativo, non può neppure qualificarsi come «manutenzione ordinaria» che riguarda sì gli interventi di rivestimento e tinteggiatura, ma “senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori”, laddove il murales inevitabilmente “è destinato a caratterizzare innovativamente la facciata stessa in modo immediatamente ed evidentemente percepibile alla vista comune”.

L’opera va, quindi, qualificata, come «manutenzione straordinaria», rientrando in tale categoria i lavori esterni che, esattamente come nel caso in questione, “non ripropongono gli aspetti preesistenti, oppure comportano modifiche delle caratteristiche, posizioni, forme e colori di quelle preesistenti”.

Così qualificata l’opera, i Giudici Amministrativi hanno ritenuto legittima l’ordinanza di rimessione in pristino adottata dal Comune di Napoli, poiché il dipinto murale era stato eseguito senza alcuna preventiva richiesta di titolo abilitativo, non essendo a tale scopo sufficiente la C.I.L.A. tardivamente presentata in quanto l’edificio, sebbene non vincolato, rientrava nell’area del Centro Storico di Napoli, per il quale le Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. del capoluogo campano prescrivevano particolari disposizione di conservazione e garanzia del mantenimento storico dello stile architettonico volte ad evitare lo stravolgimento del tessuto urbanistico, che inevitabilmente il murales, vista la sua natura non temporanea, avrebbe determinato.

Volendo prescindere dalle peculiarità del caso specifico, il dato conclusivo è che i c.d. murales, determinando una trasformazione e, quindi, un’innovazione duratura del preesistente devono essere definiti come opere di manutenzione straordinaria per la cui realizzazione è necessario munirsi preventivamente del titolo abilitativo e ciò a prescindere dal sito di realizzazione, dalle dimensioni e dalle caratteristiche dell’opus.

Rimane da chiarire, in quanto la sentenza non entra nel merito della questione, quale sia il titolo necessario.

In linea generale, potrebbe ritenersi sufficiente una C.I.L.A., vista la natura residuale e sussidiaria di tale tipologia di comunicazione come prevista dall’art. 6 bis del T.U. dell’Edilizia e considerato che l’art. 22, comma 1, lett. c) del medesimo Testo Unico, richiede la più gravosa soluzione della S.C.I.A. per i soli interventi di manutenzione straordinaria che incidano sulle parti strutturali dell’edificio, incidenza che può ritenersi esclusa nei dipinti murali.

Ovviamente, la vicenda si complica e non poco nel caso di edifici ricadenti nei centri storici e, più in generale, nelle zone protette da specifiche norme di settore contenute negli strumenti urbanistici locali e nelle loro disposizioni di attuazione o, addirittura, di edifici vincolati per i quali servirebbe un’improbabile nulla osta da parte della competente Soprintendenza.

In conclusione, vita dura per i Banksy d’Italia.

Avv. Alessandro Scalia, socio fondatore Unione Avvocatura Siciliana e Presidente della Sezione di Palermo.

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