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PROCEDIMENTO CAUTELARE, MONITORIO E CONVENZIONI DI ARBITRATO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA PIENA COMPATIBILITÀ E SULLA “DOPPIA” COMPETENZA, PRE E POST RIFORMA CARTABIA

La previsione di un arbitro, cui rimettere la risoluzione delle controversie insorte in relazione ad un accordo negoziale, con l’inserimento di una convenzione arbitrale, potrebbe far pensare che divenga più difficoltoso il ricorso alla tutela sommaria cautelare, e ciò anche se l’arbitrato è rituale.

Invero, gli artt. 669 quinquies e 669 novies, quarto comma, c.p.c. rendono pienamente compatibile la tutela sommaria cautelare con la convenzione di arbitrato, seppure con qualche precisazione.

A tale processo di integrazione contribuiva già la Corte Costituzionale che, con l’ordinanza n. 320 del 5 luglio 2002, dichiarava manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 669 quinquies e 669 octies c.p.c., ma prima precisava che “la preclusione, lamentata dal remittente, all’ammissione della tutela cautelare in presenza di clausola di arbitrato irrituale non discende dalla portata delle norme denunciate  – che, nel loro tenore testuale, si limitano a prevedere, sulla premessa della insussistenza in capo agli arbitri del potere di concedere provvedimenti cautelari (art. 818 cod. proc. civ.), il raccordo fra i provvedimenti cautelari adottati dal giudice ordinario e il giudizio e la decisione arbitrali sul merito della controversia – ma discende, nella stessa impostazione del remittente, come conseguenza della configurazione che egli prospetta – in antitesi ad altre pure avanzate, specie in dottrina – dell’arbitrato irrituale quale strumento, radicalmente diverso dall’arbitrato rituale, di composizione negoziale delle controversie, non estrinsecantesi in un giudizio, al quale la tutela cautelare possa collegarsi”, delineando così i confini di una tutela cautelare ammissibile e compatibile con l’arbitrato rituale.

Successivamente, nello stesso solco, la Corte, con la sentenza n. 26 del 28 gennaio 2010, interveniva dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. nella parte in cui, escludendo l’applicabilità dell’art. 669 quinquies c.p.c. ai provvedimenti di cui all’art. 696 c.p.c., non consentiva, in presenza di una clausola arbitrale, di chiedere un accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe stato competente per il merito.

Ma la svolta epocale è stata recentemente introdotta dal legislatore con il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che, con i nuovi artt. 818, 818 bis e 818 ter c.p.c., attribuisce agli arbitri, se espressamente previsto nella convenzione di arbitrato, il potere di concedere misure cautelari.

Invero, un’anticipazione della previsione di tale potere era già presente nell’arbitrato societario, all’art. 35, comma 5, seconda parte, D.Lgs. n. 5/2003 (oggi riprodotto nell’art. 838 ter, comma 4, c.p.c.), legittimante gli arbitri a sospendere l’efficacia della deliberazione impugnata.

In tale quadro, tra la tutela sommaria cautelare e il procedimento arbitrale rituale vi è piena compatibilità, nel senso che per la tutela cautelare ante causam è prevista la competenza del giudice ordinario, mentre per il successivo giudizio di merito a cognizione piena – necessario, se il provvedimento cautelare ha natura conservativa, o facoltativo, se invece questo ha natura anticipatoria -, è prevista la competenza degli arbitri.

Per la tutela sommaria non cautelare – e in particolare per il procedimento monitorio -, invece non è previsto alcun tipo di rapporto con l’arbitrato. Da ciò potrebbe discendere l’interpretazione secondo la quale, in presenza di clausola arbitrale, il procedimento monitorio non è percorribile.

La differenza potrebbe trovare la ratio nella distinzione delle funzioni a cui assolvono le due differenti tipologie di tutela sommaria: quella cautelare, avendo quale presupposto essenziale il periculum in mora, gode di una forte copertura costituzionale, in quanto garantisce il completamento della effettività della tutela giurisdizione prevista dall’art. 24, co. 1, Cost.; quella non cautelare ha, invece, la funzione di economia dei giudizi e di impedire al debitore l’abuso dell’esercizio del diritto alla difesa (anche se, proprio con riferimento al decreto ingiuntivo, la provvisoria esecuzione concessa dal giudice del monitorio – nel caso si verifichi la fattispecie indicata dall’art. 642, comma 2, prima parte -, ha natura lato sensu cautelare, se non anticipatoria, quanto meno conservativa).

Sicché si é soliti ritenere che, se le parti hanno inteso affidare la soluzione della controversia ad un giudice privato, allora hanno anche implicitamente inteso rinunciare alla tutela sommaria non cautelare. Ma tale considerazione, però, se può valere per l’arbitrato irrituale – in cui le parti hanno sia derogato alla competenza del giudice ordinario in favore degli arbitri e sia rinviato l’accesso alla tutela giurisdizionale, assoggettandola alla preventiva decisione assunta dagli arbitri con lodo contrattuale -, appare lesiva dei diritti del creditore per l’arbitrato rituale, in cui invece le parti, per una mera deroga alla competenza del giudice statale in favore degli arbitri, si vedono sostanzialmente privati di un efficientissimo strumento per l’ottenimento in tempi rapidi del titolo esecutivo.

Del resto, non v’è più alcun dubbio che le questioni tra giudice statale e arbitri rituali siano questioni di mera competenza e non più di merito: dopo la riforma del 2006 introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 con gli artt. 817, 819 ter e 824 bis c.p.c., dopo la sentenza della Corte costituzionale 19 luglio 2013 n. 223, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 819 ter, comma 2, c.p.c. «nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile» e dopo la nuova riforma introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che – con l’art. 819 quater c.p.c. per la translatio iudicii e con l’affiancamento, nell’art. 819 ter c.p.c., dell’ordinanza alla sentenza – ha definitivamente consacrato tale principio.

Peraltro ben può considerarsi che i tempi del procedimento arbitrale per la pronuncia del lodo e per l’ottenimento dell’omologazione non sarebbero poi tanto differenti dai tempi necessari, soprattutto in alcuni uffici giudiziari, quanto meno all’ottenimento del decreto provvisoriamente esecutivo ai sensi dell’art. 648 c.p.c., sicché non pare possa scorgersi una lesione di tutela.

La potestà cautelare, si sottolinea, non assume carattere di potere proprio e naturale degli arbitri ma deve derivare da una volontà delle parti espressa ed univoca. L’unica attribuzione agli arbitri di potestà cautelare, che non necessita di un apposito conferimento di poteri cautelari da parte dei compromittenti, rimane quella di cui all’art. 838-ter c.p.c., comma 4 (sospensione cautelare della delibera societaria, oggetto di giudizio arbitrale). 

Ma veniamo al procedimento monitorio.

Qui non è ipotizzabile la doppia competenza, dato che, ai sensi dell’art. 645, comma 1, c.p.c., “l’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto …” e tale competenza è funzionale. Sicché, per il solo fatto di proporre ricorso per D.I., il creditore rinuncia all’arbitrato.

La giurisprudenza, però, nel tentativo di far coesistere procedimento monitorio e arbitrato, ha ritenuto da un lato che, nonostante la convenzione di arbitrato, il creditore sia pienamente legittimato a promuovere il procedimento monitorio e il giudice non possa non emettere il decreto sul rilievo della convenzione di arbitrato; dall’altro lato  che, qualora il debitore proponga opposizione al D.I. eccependo (eccezione in senso stretto) la competenza arbitrale, il giudice debba accogliere l’opposizione revocando o comunque dichiarando l’invalidità del decreto ingiuntivo. In virtù di questa interpretazione, quindi, il procedimento monitorio è legittimo, ma il decreto ingiuntivo, ancorché fondato nel merito, ha vita effimera.

La decisione conseguente all’accoglimento della eccezione di arbitrato dipende dalla natura della convenzione di arbitrato. In caso di convenzione di arbitrato rituale, trattandosi di questione di competenza, il giudice, dopo avere accolto l’opposizione e revocato o dichiarato invalido il decreto ingiuntivo emesso da giudice incompetente, dichiara l’incompetenza del giudice statale e la competenza arbitrale (cfr. Cass. 22 settembre 2020, n. 19823). La sopravvivenza nel successivo giudizio arbitrale degli effetti della domanda promossa dinnanzi al giudice statale incompetente è assicurata dalla “translatio iudicii” già disciplinata dall’art. 819 ter c.p.c., come “corretto” dalla Corte costituzionale, e, dopo l’ultima riforma, dall’art. 819 quater c.p.c. Nel caso in cui il giudice dell’opposizione dichiara soltanto l’incompetenza omettendo di pronunciare la revoca o invalidità del decreto ingiuntivo e, poi, il giudizio si estingue per mancata tempestiva riassunzione dinanzi al giudice (o all’arbitro) competente, quale fine farà, però, il decreto ingiuntivo pronunciato da un giudice incompetente? La Cassazione con due recenti pronunce ha sancito che, in tale fattispecie, la revoca o la declaratoria di invalidità del decreto è implicita. Pertanto, il processo si chiude, appunto, con la revoca o la declaratoria di invalidità del decreto e non con la definitività del medesimo (Cass. 14 gennaio 2022, n. 1121 e Cass. 22 dicembre 2021, n. 41230).

In caso di convenzione di arbitrato irrituale, il giudice dell’opposizione, dopo avere accolto l’eccezione di arbitrato (che, in questo caso, non è una eccezione di incompetenza) e revocato o dichiarato invalido il decreto ingiuntivo, dichiara l’improcedibilità della domanda del creditore, viziata da prematurità della richiesta prestazione giurisdizionale.

Peraltro, l’interpretazione in virtù della quale il giudice del monitorio non possa rilevare d’ufficio l’incompetenza del giudice in favore di quella arbitrale è in contrasto, nell’ipotesi di convenzione di arbitrato rituale, con l’orientamento espresso dalla Corte costituzionale secondo la quale il giudice del monitorio è tenuto a rilevare d’ufficio anche l’incompetenza territoriale semplice.

E tale impossibilità di rilevo suscita, a maggiore ragione, forti perplessità in caso di convenzione di arbitrato estero, dato che, in tale ipotesi, si pone una questione di giurisdizione, come hanno sancito a più riprese le SS.UU..

La dottrina ha cercato, con diverse voci, di superare questo impasse e appare convincente l’ipotesi secondo cui, ferma restando la competenza funzionale del giudice statale a pronunciare il decreto ingiuntivo – e, per l’opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c., dell’ufficio giudiziario che lo ha emesso -, il giudice dell’opposizione metta in stand by il decreto, in attesa, dopo la translatio in arbitrato, della definizione del merito della controversia, in relazione al contenuto della opposizione (se solo di merito o anche sui presupposti dell’emissione del decreto ingiuntivo, esclusa l’incompetenza per arbitrale rituale) o all’esito del lodo sul merito. Questa interpretazione ha il pregio di coniugare i differenti profili e di prevedere una sostanziale doppia competenza, come per i procedimenti cautelari. Peraltro, considerando il nuovo art. 818 c.p.c. (competenza degli arbitri ad emettere provvedimenti cautelari in corso di causa), potrebbe legittimare gli arbitri ad emettere provvedimenti ingiuntivi in corso di causa al pari dei provvedimenti ex art. 186 ter c.p.c., soprattutto nel caso sussista il presupposto del periculum in mora che legittima l’applicazione dell’art. 642, comma 2 prima parte, c.p.c..

Si potrebbe anche prevedere, in deroga alla competenza funzionale prevista dall’art. 645 c.p.c., direttamente la competenza degli arbitri per il giudizio di opposizione – con la operatività del nuovo art. 819 quater c.p.c. in caso di incompetenza degli arbitri -, e conservare la competenza del giudice soltanto per i provvedimenti ex artt. 648 e 649 c.p.c., nel contraddittorio delle parti. Quest’ultima soluzione, vedrebbe la fase sommaria (ante causam) dinnanzi al giudice statale, la fase di merito a cognizione piena direttamente dinanzi agli arbitri.

Avv. Alessia Falcone, Vice Presidente della Sezione UAS di Catania

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