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Le realtà industriali e la tutela dell’ambiente

La tutela dell’ambiente è una delle più grandi sfide che l’umanità sta affrontando.

Nel terzo millennio la comunità scientifica internazionale ha sottolineato come numerosi parametri sullo stato di salute del pianeta superano i c.d. valori soglia “planteary boundaries”. L’azienda/industria e l’ambiente naturale presentano un rapporto di interdipendenza reciproca, la problematica relativa alla tutela ambientale si concretizza dunque nella salvaguardia di una sorta di equilibrio tra azienda e ambiente naturale. In relazione ai reati contro l’ambiente, previsti e puniti sia dal codice penale, sia dal TUA, si potrebbe argomentare parecchio, il nostro obiettivo oggi è focalizzare l’attenzione proprio sulle realtà industriali e l’ambiente.

Relativamente a quanto premesso e facendo riferimento ad un caso concreto parliamo dell’Azienda X nella persona del gestore, al quale, a causa di un evento atmosferico accidentale, veniva contestato il reato di cui all’art. 452-bis del codice penale per l’inosservanza di specifiche prescrizioni sancite dall’autorizzazione ambientale AIA, riguardo l’esercizio della propria attività: prescrizioni atte ad evitare lo sversamento diretto in mare, prescrizioni atte ad evitare il verificarsi di eventi di malfunzionamenti, prescrizioni stabilite dal D. Lgs n. 152/2006, prescrizioni relative ai divieti di scarico diretto nel suolo, nel sottosuolo acque sotterranee.

Tramite la codificazione dei delitti contro l’ambiente il legislatore del 2015 ha inteso risolvere le problematiche nate in conseguenza del vuoto sanzionatorio nei confronti di condotte gravemente lesive per l’ambiente, cui prima si sopperiva mediante la punibilità a titolo di disastro innominato di cui all’art. 434, nonché adeguare e rendere più severo il trattamento sanzionatorio, dato che le fattispecie contravvenzionali di cui al D.Lgs. 152/06 (Codice dell’ambiente), non ebbero quasi alcun effetto deterrente.

La norma di cui all’art. 452-bis c.p. punisce l’inquinamento ambientale, ovvero quelle condotte che, pur senza determinare un evento catastrofico dotato dei requisiti del disastro (ovvero vastità del fenomeno e messa in pericolo di un numero indeterminato di persone), siano comunque altamente lesive per il bene ambiente. Disastri e/o eventi lesivi mai verificatesi nel caso concreto. Bisogna far presente che aziende di tali livelli hanno in uso impianti di altrettanto elevato funzionamento, ma parliamo appunto di impianti non perfetti ma perfettibili, migliorabili nel tempo, adeguandoli a quelle che sono e saranno le esigenze di salvaguardia e di equilibrio nell’interscambio produttivo e tutela dell’ambiente.
“Dopo le varie indagini effettuate e la documentazione prodotta dall’azienda in persona del gestore e l’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come è stato osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l’ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Tali parametri ovviamente rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non può farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti”(Tribunale di Barcellona P.G. n.Reg. Sent. 19/2023).

Detta decisione si muove nel solco di quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale, da un lato, il «delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, è un reato di danno, che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente in quanto tale e presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e segg. d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152» (così Sez. 3, n. 50018 del 19/09/2018), dall’altro, ai «fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici» (in tal senso Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018) precisandosi al contempo che la «”compromissione” e il “deterioramento” di cui al delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli
stessi» (così Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016).

La decisione in esame desta un certo interesse essendo trattate diverse tematiche giuridiche afferenti il delitto di inquinamento ambientale. Difatti, in tale pronuncia, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che: a) il delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, è un reato di danno, che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente; b) ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici; c) la “compromissione” e il “deterioramento”, di cui al delitto di inquinamento ambientale, consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessa.

In conclusione, la sentenza (di assoluzione) in commento non può che essere valutata positivamente, in quanto contribuisce a fare chiarezza sulla interpretazione della norma incriminatrice e, quindi, sulle condizioni che devono verificarsi per la sussistenza del reato p. e p. dall’art. 452 bis c.p..

Dott.ssa Graziella Bambaci, socia della Sezione UAS di Messina.

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