“La domanda di revocatoria dell’atto con cui è stato costituito in fondo patrimoniale un bene della comunione legale va rivolta (notificata ed eventualmente trascritta ex art. 2652, comma 1, n. 5, c.c.) nei confronti di entrambi i coniugi (ancorché solo uno di essi sia debitore) e, in quanto preordinata all’espropriazione forzata del medesimo cespite (necessariamente da compiersi per l’intero), essa è diretta ad una pronuncia d’inefficacia dell’atto complessivo e non limitata alla inesistente quota pari alla sola metà del bene”.
ll principio è stato enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9536 emessa dalla III Sezione Civile, il 7 aprile 2023.
Si richiama il caso, originato dall’azione revocatoria promossa, ai sensi dell’art 2901 cc , dal creditore particolare di un coniuge, al fine di ottenere la revoca del fondo patrimoniale costituito su un immobile in comunione legale.
Nel giudizio di primo grado avanti il Tribunale di Lecce, l’atto dispositivo (fondo patrimoniale) veniva dichiarato inefficace limitatamente alla quota dell’immobile di cui risultava proprietario il coniuge debitore, oggetto di revocatoria e della pronuncia in primo grado. La sentenza non veniva impugnata, pertanto, consolidatosi il giudicato, il creditore sottoponeva a pignoramento solo la quota di immobile di proprietà del debitore, risultante libera da vincolo, trascrivendo l’espropriazione solo sulla quota pari alla metà indivisa del bene.
Il Giudice dell’Esecuzione, in applicazione del principio di legittimità sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 3596/2013 secondo cui “la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà ”, ordinava al creditore procedente l’estensione del pignoramento anche nei confronti del coniuge non debitore con discendente sottoposizione ad espropriazione dell’intero immobile, cui seguiva l’opposizione, sia agli atti che all’esecuzione, avanzata dal coniuge ( non debitore) a motivo dell’impignorabilità del bene in quanto oggetto del fondo patrimoniale.
La sospensione della procedura esecutiva ( confermata anche dal Collegio in sede di reclamo) rimetteva la questione al Giudice di merito il quale, per quanto di nostro interesse, accoglieva l’opposizione ribadendo il principio dell’impignorabilità del bene in comunione legale e conferito in un fondo patrimoniale, così in sostanza dichiarando illegittimo il pignoramento avente ad oggetto l’intero bene in comunione.
Proposto appello da parte del creditore procedente, la Corte di merito di Lecce confermava la sentenza di prime cure statuendo, l’impignorabilità ex art 170 cc della quota indivisa del bene immobile di proprietà della moglie (non debitrice) e rilevando che l’azione revocatoria fosse stata, in primo grado, accolta solo limitatamente alla quota del marito debitore e che sulla pronuncia, ancorchè errata, fosse inesorabilmente sceso il giudicato .
La vicenda giungeva davanti la Corte di Cassazione, la quale, scrutinando congiuntamente i motivi di ricorso proposti dal creditore procedente, analizzava la questione degli effetti della revocatoria di un atto dispositivo ( fondo patrimoniale) , pronunciata rispetto ad una sola quota di un bene in comunione legale.
Interessante l’iter logico argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione la quale, si sofferma preliminarmente sulla differenza tra “comunione ordinaria”, ontologicamente identificata come una comunione per quote oggetto di diritto individuale dei singoli partecipanti e limite strutturale del potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune e “comunione legale” che, in applicazione di consolidati principi di legittimità, è una comunione senza quote (o a mani riunite) ove la quota, lungi dal costituire elemento strutturale, è limite del potere dispositivo del titolare ed ha la funzione di “stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari, la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione, ed infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi”.
Con la pronuncia in commento, gli Ermellini , nel chiaro ed aperto richiamo al principio enunciato dalla citata sentenza della Cassazione n. 9536/2013, hanno composto annosi contrasti giurisprudenziali e, nel silenzio delle norme, a fronte di una lacuna normativa che non è stata colmata finanche dalle recenti riforme processuali, dettano le regole , uniche applicabili a pena di inefficacia ed improcedibilità del pignoramento, per sottoporre ad esecuzione forzata il bene in comunione legale ancorchè per il debito di uno solo dei coniugi, sicchè:
- Il bene in comunione legale deve essere necessariamente aggredito per l’intero;
- Il coniuge non debitore, contitolare del bene sottoposto all’espropriazione, è soggetto passivodell’espropriazione stessa, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato;
- Il pignoramento deve essere notificato (e trascritto) anche nei confronti del coniuge non debitore, il quale è destinatario dell’ingiunzione ex art 492 cpc e al quale si applicheranno le disposizioni che prescrivono la notifica dell’avviso ai suoi creditori personali;
- La vendita o l’assegnazione del bene pignorato dovranno essere disposte sull’immobile per l’intero;
- Il trasferimento coattivo della proprietà del bene (e, quindi, per gli immobili, con la pronuncia del decreto di trasferimento), determinerà lo scioglimento della comunione legale limitatamente a quel benee il coniuge non debitore avrà diritto alla metà della somma lorda ricavata dall’alienazione (o del valore, in caso di assegnazione).
In una scansione chiara ed imperativa che giungerà all’enunciato principio di diritto che costituisce il lietmotiv del presente commento, la Corte di Cassazione esamina, in sinergia, il segnato quadro ricostruttivo (la disciplina del pignoramento di quote di beni in comunione legale) e la disciplina della revocatoria ordinaria volta a rendere inefficace, nei confronti del creditore, un atto dispositivo che ne pregiudichi il diritto, ostacolando, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, il soddisfacimento delle sue ragioni altrimenti soddisfatte dall’esecuzione forzata.
In altre parole, secondo la Corte di Cassazione, la strumentalità dell’azione revocatoria rispetto all’ azione esecutiva impone di ritenere che, qualora l’atto pregiudizievole abbia riguardato un bene ancora assoggettato alla comunione legale, come nel caso di un bene conferito in fondo patrimoniale, nel giudizio instaurato al fine di ottenere la revocatoria ricorrerà un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i coniugi (Cass. 5768/2022; Cass. 19330/2017; Cass. 21494/2011) per cui la domanda di inefficacia dell’atto dispositivo e la successiva pronuncia di accoglimento, andranno a riguardare l’intero bene e non la sola quota appartenente (idealmente ) al contitolare – debitore.
La Corte richiama semplici principi a fronte dei quali la sequenza revocatoria – bene in comunione legale- costituzione in fondo patrimoniale, andrà letta come serie procedimentale preordinata all’espropriazione forzata dell’intero cespite.
L’atto dispositivo è revocabile per intero e non per la quota corrispondente alla metà del bene ( Cassazione n. 18771/2019).
Il bene costituito in fondo patrimoniale rimarrà in comunione legale, posto che l’apposizione del vincolo di pignoramento non rientra tra le cause di scioglimento previste dall’art 191 cc e non costituisce mutamento convenzionale del regime patrimoniale, nemmeno limitatamente al cespite pignorato.
Nel porre inderogabili principi, al fine di ed evitare potenziale “contrasto con precedenti pronunce”, che hanno escluso il litisconsorzio di coniugi in caso di azione revocatoria su un bene in comunione, la sentenza in commento sottolinea volutamente il diverso regime applicabile nell’ipotesi in cui l’azione revocatoria sia stata esperita relativamente ad un bene in comunione legale che sia stato trasferito a terzi , nel cui caso, osserva la Cassazione, viene oggettivamente meno l’assoggettamento del bene allo speciale regime patrimoniale (Cassa 17021/2015 e 18707/2021) pertanto “la revocatoria può e deve avere ad oggetto soltanto la quota del coniuge debitore, sorta al momento della cessione a terzi del cespite”.
In esito alla delibazione delle doglianze del ricorrente, nell’unico motivo di ricorso accolto, la Corte di Cassazione, seppur non discostandosi dai principi enunciati, rileva come l’art 170 cc non sancisca l’impignorabilità assoluta dei beni costituiti in fondo patrimoniale ma introduca il divieto di agire esecutivamente su tali beni (e sui loro frutti ) solo qualora ricorrano i presupposti applicativi della norma, ovvero nel ricorrere del presupposto oggettivo ( estraneità del debito ai bisogni della famiglia) e soggettivo ( la consapevolezza di tale circostanza da parte del creditore). Sarà onere del debitore esecutato che richieda di sottrarre i beni all’esecuzione forzata, dimostrare il fatto impeditivo che costituirà un’eccezione rispetto al generale principio della responsabilità patrimoniale ex art 2740 cc.
In conclusione, l’articolato (e semplice) iter delibativo seguito dalla Corte di Cassazione risulta interessante nell’enunciazione dei principi di diritto applicabili all’espropriazione del bene in comunione legale (costituito in fondo patrimoniale) e nel vaglio, rimesso al giudice di legittimità, della verifica della correttezza dell’interpretazione, offerta dal Giudice del merito, della sentenza che ha accolto la domanda di revocatoria, passata in giudicato.
Interpretazione che non può, a parere della Corte, prescindere dall’interazione e dell’applicazione dei principi vigenti in materia di espropriazione forzata ove l’oggetto dell’esecuzione sia un bene in comunione legale.
Parimenti interessanti le conclusioni della Corte per quanto alla delibazione dell’unico motivo di ricorso accolto, ove chiara risulta la censura alla pronuncia di merito nella rigida applicazione della disposizione dell’ art 170 cc. (divieto di espropriazione dei beni conferiti in fondo patrimoniale); applicazione che, secondo la pronuncia, dovrebbe più strettamente aderire alla norma per cui, il divieto di espropriazione diviene operante nel coesistere degli elementi oggettivo e soggettivo ed in assenza di prova da parte del debitore ( esecutato) che, vincolato dai criteri di ripartizione dell’ onus probandi, ha l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti che impediscano l’ applicazione del generale principio della responsabilità patrimoniale.
Avv Angiola Maria Politi