Il tema del mantenimento del figlio maggiorenne è stato negli anni oggetto di numerose pronunce della Suprema Corte.
Con la recentissima sentenza n. 26875 del 20/09/2023, il Supremo Collegio è tornato a pronunciarsi sulla dibattuta questione del diritto del figlio ultramaggiorenne a percepire un assegno di mantenimento e nella specie del figlio che non ha ancora completato il proprio percorso di studi universitario, ma che è in grado di trovare occupazione. Con tale pronuncia la Corte si è soffermata in particolare sull’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento. Nella fattispecie sottoposta al vaglio di legittimità il Tribunale di Roma, in sede di giudizio di divorzio, aveva disposto, per quel che qui interessa, un assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne. La sentenza veniva gravata dall’obbligato. All’esito dell’impugnazione la Corte d’appello di Roma, riduceva detto l’assegno, deducendo che grava sull’obbligato l’onere di provare che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica o la sua colpevole inerzia o rifiuto di un’attività lavorativa.
Avverso tale sentenza l’obbligato proponeva ricorso per cassazione. I Giudici di legittimità, seguendo un iter argomentativo basato sulla funzione educativa del mantenimento e sul principio di autoresponsabilità, hanno parzialmente accolto l’impugnazione, operando alcune puntualizzazioni con riguardo al caso in cui il figlio largamente adulto alleghi di avere mancato di conseguire l’indipendenza economica per le necessità di offrire cura ad altri, nella specie l’altro genitore convivente.
In particolare, con riferimento alla funzione educativa del mantenimento, gli Ermellini hanno chiarito e ribadito che «la raggiunta età matura del figlio assume rilievo in sè, in ragione dello stretto collegamento tra doveri educativi e di istruzione, da una parte, e obbligo di mantenimento, dall’altra parte, i primi non potendo che cessare a un dato punto dell’evoluzione umana: all’età maggiore, pertanto, quando è matura – perché sia stata ormai raggiunta quella in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare le istruzioni e le indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana – consegue l’insussistenza del diritto al mantenimento. (…) La funzione educativa del mantenimento, pertanto, è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo relativo, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società». Integra, quindi, un dovere del figlio attivarsi, ad una data età, per la ricerca dell’autosufficienza economica, secondo il principio di autoresponsabilità nel saper contemperare le aspirazioni in direzione di un determinato lavoro con il concreto mercato che il lavoro offre.
Il particolare caso che è stato esaminato dalla Corte ha offerto l’occasione di operare alcune puntualizzazioni con riguardo al caso in cui il figlio largamente adulto alleghi di avere mancato di conseguire l’indipendenza economica per le necessità di offrire cura ad altri, nella specie l’altro genitore convivente.
La Corte al riguardo osserva che il principio di autoresponsabilità opera anzitutto imponendo al figlio di dimostrarsi tale verso se stesso, nel senso che il dovere di solidarietà nei confronti del genitore convivente, il quale in ipotesi necessiti di particolari attenzioni o cure, non fa venir meno i doveri del figlio di assumersi le proprie responsabilità anche economiche, attivandosi per conseguire la propria indipendenza economica onde consentire di poter provvedere non solo a sé stesso ma anche ai familiari. Anzi la stessa necessità di occuparsi anche di altri soggetti costituisce un valido incentivo a proficuamente ricercare. Il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso se stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, possono unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico lavorativa, giammai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso se stesso, anche in vista della propria vita futura. Premessi i superiori principi, cassando la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui ha disposto l’assegno di mantenimento a favore della figlia maggiorenne, la Suprema Corte ha puntualizzato in modo inequivoco che l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro.
Nel caso in cui il figlio sia neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova, a carico del “figlio adulto”, delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa.
L’applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte con la sentenza in rassegna avrà certamente rilevanti riflessi nella pratica giudiziaria.
Avv. Giusi Giandolfo, Sezione UAS di Messina