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Superamento presunzione riparto fittizio di utili extra-bilancio tra soci di s.r.l. a ristretta base societaria

Non è infrequente che l’Agenzia delle Entrate, a seguito di accertamento espletato nei confronti di una società a responsabilità limitata a ristretta base societaria, individuando asseriti maggiori utili non dichiarati in capo alla stessa società, emetta automaticamente, all’esito della notifica dell’avviso di accertamento nei confronti del legale rappresentante della medesima, singoli avvisi di accertamento nei confronti dei soci della predetta società fondati sull’errato presupposto dell’avvenuto riparto fittizio degli utili tra i soci, per il recupero dell’IRPEF correlata al presunto indebito percepimento.

Ciò si verifica anche nelle ipotesi in cui l’avviso di accertamento presupposto e, dunque, emesso nei confronti della società, non sia ancora divenuto definitivo e, pertanto, anche nell’ipotesi in cui avverso lo stesso sia pendente un giudizio di opposizione. L’Agenzia delle Entrate fonda tale prassi sul presupposto che laddove una società abbia una ristretta (e/o familiare) base sociale, sia automaticamente provata la ripartizione dei maggiori presunti utili fra i soci della stessa.

Tale presunzione è evidentemente ingiusta e non sempre fornire la prova contraria risulta semplice o concretamente percorribile.

Si evidenzia, invero, che per costante orientamento della Corte di Cassazione, la presunzione della ripartizione degli utili extra contabili tra i soci di società possa operare solo laddove la stessa sia a ristrettissima base personale o familiare e solo quando ciò costituisca fatto noto oggetto di apposito accertamento probatorio e, pertanto, solo nelle ipotesi in cui sussista “quel vincolo di solidarietà e di reciproco controllo che normalmente in questi casi caratterizza la gestione sociale” (ex multis Cass. ord. 14176 dell’08.07.2015).

Nel caso de quo l’ufficio, invero, soprassedendo sulla non definitività dell’avviso di accertamento presupposto, contesta la distribuzione dei dividendi occulti tra i soci senza motivarla e limitandosi a fondare la presunta ripartizione degli utili su un automatismo, senza illustrare perché ciò sia confacente al caso di specie e come operi in concreto, e soprattutto, senza fornire alcuna prova di tale asserzione, nonché senza svolgere alcuna indagine effettiva sul socio.

Alla luce di quanto sopra la prassi adottata dall’ufficio è assolutamente “antigiuridica”, e spinge il contribuente a fornire la prova negativa di non avere ricevuto l’incasso occulto che l’amministrazione fiscale gli ascrive con assoluta genericità.

Ed invero il socio, pur alle volte non ricoprendo alcun ruolo gestionale in capo alla società ed addirittura, in alcune circostanze, essendo qualificato solo quale socio-lavoratore, si ritrova a dover affrontare un giudizio economicamente impegnativo ed aleatorio, fondato su una mera presunzione scevra di alcun pratico riscontro, ed a doversi adoperare per individuare mezzi di prova che consentano di fondare il convincimento dei Giudici ai fini del superamento di quella che può senz’altro essere definita come una probatio diabolica.

Seppur i riscontri della giurisprudenza in tal senso propendano nella maggior parte dei casi a favore di tale automatismo, non sono mancate pronunce di contrario avviso, che hanno consentito al contribuente, nelle predette ipotesi, di fornire la prova della carenza del legame tra soci anche a mezzo produzione documentale, provando che tra il socio-lavoratore, nel caso di specie, e la società vi fossero stati ripetuti conflitti e battaglie legali, volte al recupero di retribuzione del lavoratore e TFR, e sfociate addirittura nella presentazione di istanza di fallimento della società da parte del socio-lavoratore.

Ed ancora il contribuente, nelle predette ipotesi, evidenziando la propria qualifica di socio lavoratore e deducendo, per come evincibile documentalmente, che nessun altro ruolo avesse ricoperto in capo alla società, ha fondato il convincimento del Giudice nel ritenere assolutamente mancante non solo il legame c.d. familiare-amicale, bensì qualsivoglia interferenza dello stesso con la sfera gestionale societaria (ex multis Cass Civ 18042 del 09.07.2018 e Cass Civ. Sez. Trib. Ord. 1932/2016), superando, pertanto, la detta presunzione di distribuzione degli utili, e liberandosi dall’onere di dover eseguire un pagamento assolutamente arbitrario, infondato ed antigiuridico.

Alla luce delle suesposte osservazioni è auspicabile che l’Ufficio, possedendone i mezzi, preliminarmente all’emissione degli avvisi di accertamento descritti, esegua controlli più approfonditi anche di natura fiscale sui singoli soci, e verifichi preventivamente anche i rapporti familiari eventualmente intercorrenti tra gli stessi, affinché, a monte, l’antigiuridicità della prassi delineata risulti quantomeno attenuata.

Avv. Giulia Gavioli, UAS di Augusta

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