La pronunzia n. 19820 della Prima Sezione della Corte di Cassazione del 12 luglio 2023 offre alcuni interessanti spunti di riflessione in ordine alla rilevanza probatoria della certificazione unica in sede di verifica dei crediti dinnanzi al Giudice Delegato.
La fattispecie oggetto del giudizio riguardava una domanda di ammissione al passivo di somme rivendicate da un lavoratore della società poi fallita anche a titolo di TFR.
Il Tribunale ha rigettato la domanda poiché il lavoratore aveva prodotto l’ultima certificazione, nella quale, oltre a essere precisato l’importo maturato per TFR, era anche attestato che detto importo era stato erogato al dipendente.
La motivazione del rigetto da parte del Tribunale è da rinvenire nel principio in base al quale la parte che ha esibito in giudizio un documento non può scinderne il contenuto per affermare i fatti a lei favorevoli e negare quelli a lei contrari (Cass. n. 7726/1990) per cui la certificazione unica, attestando la corresponsione del TFR, costituirebbe prova dell’avvenuto pagamento.
In altri termini, ad avviso del Tribunale, se il lavoratore produce una C.U. al fine di dimostrare l’importo spettantegli a titolo di TFR, detta certificazione, se contiene anche l’attestazione di avvenuta erogazione del TFR, dovrà essere utilizzata anche come prova dell’avvenuto pagamento del TFR.
Avverso il decreto di rigetto il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, adducendo che il Tribunale avrebbe violato i principi regolatori dell’onere della prova atteso che era la Curatela che avrebbe dovuto dimostrare di avere pagato il TFR; prova che, a dire del ricorrente, in assenza di una quietanza o altra documentazione comprovante l’effettivo pagamento, non poteva essere ravvisata nella certificazione unica.
La S.C. ha accolto il ricorso per le ragioni che di seguito brevemente si esporranno.
Merita di essere sottolineato, anzitutto, che la Corte, con ordinanza interlocutoria, aveva ritenuto di fissare la pubblica udienza (evento ormai sempre meno frequente nelle controversie civili) e non la camera di consiglio poiché avrebbe meritato un approfondimento la questione relativa alla data certa della C.U. in assenza della prova del suo invio alla Agenzia delle Entrate e della sua ricezione da parte dell’amministrazione.
In altri termini, la Corte si è posta la domanda se la C.U., per avere data certa e, quindi, essere opponibile al Curatore, debba essere prodotta unitamente alla dimostrazione che essa sia stata inviata alla Agenzia delle Entrate e da questa ricevuta oppure possa essere depositata in assenza di ulteriori formalità.
La Cassazione, però, avvedutasi in ritardo, che il Tribunale aveva, comunque, considerato la certificazione unica opponibile al Curatore e che detta questione non era mai stata sollevata da alcuna delle parti, ha ritenuto inconducente la stessa, essendo stati l’accertamento della data certa e l’opponibilità alla curatela coperti da giudicato interno.
In assenza di precedenti, attenderemo eventuali ulteriori occasioni in cui la Suprema Corte potrà pronunciarsi su detta questione.
Ciò premesso, si riepiloga, in estrema sintesi, l’iter logico seguito dalla Corte e le conclusioni alle quali la stessa è pervenuta.
Come è noto, ricade sulla curatela l’onere di provare l’avvenuta corresponsione del TFR.
La Corte, dopo avere richiamato, anzitutto, il principio (dell’inscindibilità del documento) in base al quale, una volta prodotto un documento, non è consentito alla parte che lo produce utilizzare solo le parti a sé favorevoli, escludendo, invece, le parti a essa sfavorevoli, ha, però, precisato che detto principio non trova applicazione nel caso in cui il documento provenga dalla stessa parte che intende avvalersi degli effetti favorevoli.
Nel caso di specie, quindi, il curatore non può giovarsi della C.U. al fine di provare circostanze a sé favorevoli poiché la C.U. proviene dal datore, poi fallito.
Sul punto la Corte ha chiarito che a nulla varrebbe obiettare la terzietà del curatore rispetto al datore in quanto il curatore, quando intende giovarsi di documenti provenienti dal fallito, non può considerarsi terzo rispetto a quest’ultimo; in tal caso, infatti, egli ne assume la medesima posizione processuale con quanto ne consegue in termini di rilevanza probatoria di tali documenti.
Riepilogando, allora, anche nell’ipotesi in cui la certificazione unica indichi l’avvenuta erogazione del TFR la stessa, se non accompagnata da una quietanza, non costituisce prova del pagamento del TFR poiché proveniente dalla stessa parte interessata a opporre il fatto estintivo.
Avv. Gerlando Calandrino, socio fondatore di UAS