Tutela degli animali nella legislazione statale e regionale
Il diritto è da sempre fondato su una concezione antropocentrica, dove la persona umana è il centro assoluto della tutela accordata; l’intera organizzazione giuridica è destinata alla persona umana, in funzione della quale l’ordinamento stesso è costituito. Tuttavia, in virtù di una progressiva evoluzione della sensibilità appartenente alla società moderna e della percezione sociale del rapporto uomo-animali, suffragata dal consolidarsi delle evidenze scientifiche in materia, diversi Stati europei hanno avviato un percorso diretto, da un lato, all’inclusione della tutela degli animali tra i valori fondamentali delle proprie Carte costituzionali e, dall’altro, alla revisione dei codici civili, al fine di inserire la distinzione tra animali e res.
Anche il nostro legislatore ha operato in tal senso.
Infatti, la tutela degli animali configura la principale novità contenuta nel terzo comma dell’art. 9 Cost. introdotto dalla l. cost. n. 1/2022: mentre la tutela dell’ambiente era già desumibile in base al testo originario della Costituzione dal combinato disposto degli artt. 2, 9 e 32 Cost. ed è stata poi ulteriormente rafforzata dalla l. cost. n. 3/2001 nell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., la tutela degli animali prima della l. cost. n. 1/2022 non era né prevista esplicitamente né ricavabile implicitamente dalla nostra Carta costituzionale.
Con il novellato art. 9 della Costituzione la tutela degli animali viene menzionata nell’ambito dei principi fondamentali della nostra Costituzione e, quindi, viene individuata come valore fondante giuridico ed etico del nostro vivere civile la cui revisione può avvenire solo in senso migliorativo ed ampliativo. È evidente, quindi, che con l’inserimento degli animali in Costituzione viene effettuato un enorme salto teorico, poiché viene garantita tutela costituzionale a dei ‘soggetti senzienti non-umani” e viene previsto che la tutela sia un ‘dovere’ della Repubblica.
Volgendo invece lo sguardo alla legislazione ordinaria, dalla lettura delle norme tutt’ora vigenti del codice civile, si ricava una qualificazione della sfera giuridica degli animali certamente non più corrispondente al diverso modo di concepire gli esseri viventi non umani cui si è fatto cenno. Ci si riferisce in particolare agli articoli da 923 a 926 c.c.: tali disposizioni, infatti, qualificando gli animali come possibile oggetto di un acquisto a titolo originario per occupazione o invenzione, confermano la volontà del legislatore di far rientrare gli animali nella categoria dei beni piuttosto che in quella dei soggetti; d’altro canto, dalla lettura dell’art. 812 c.c. si ricava per esclusione che gli animali sono qualificabili come beni mobili e quindi come cose che possono formare oggetto di diritti.
Tale impostazione, chiaro riflesso del momento storico in cui il codice è stato emanato e che considera gli animali come oggetti di diritto rispetto ai quali il proprietario può agire a loro tutela in quanto cose di cui risulta titolare, ha manifestato la sua inadeguatezza a cominciare dagli anni novanta del secolo scorso quando, sul diverso versante della legislazione speciale l’intervento si è focalizzato sulla tutela degli animali da affezione e lotta al randagismo.
Con l’emanazione della legge 14 agosto 1991, n. 281 si è così stabilito che lo Stato, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale, di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, deve promuovere e disciplinare la tutela degli animali d’affezione, condannando gli atti di crudeltà contro gli stessi, i maltrattamenti e il loro abbandono. Tale intervento normativo è degno di nota in quanto ha stabilito un principio molto importante e di portata generale, ovvero il divieto di procurare inutilmente sofferenza ad altri esseri viventi sensibili.
La Regione Siciliana, prima con la Legge regionale 15/2000, ora con la nuova legge 15/2022 che ha abrogato la precedente, è intervenuta sulla materia e, dal dato testuale dei primi articoli della legge, appare evidente che il legislatore ha inteso orientare la tutela verso due precise categorie di animali – randagi e da affezione –, introducendo una molteplicità di regole dirette a garantire la salute psicologica oltre che fisica dei suddetti animali che prima dell’emanazione dell’art. 13 TFUE, non erano oggetto di adeguata regolamentazione da parte del legislatore regionale.
Ciò si evince, in prima battuta, dall’art. 1 (Principi e finalità) della nuova legge siciliana che, dopo aver espressamente richiamato la legge quadro del 14 agosto 1991 n. 281 (Legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo) e l’art. 13 TFUE, riconosce e fa propria la natura di “esseri senzienti” degli animali, ponendo quale obiettivo generale e astratto della norma quello di assicurare loro un’esistenza compatibile con le proprie caratteristiche biologiche ed etologiche e, inoltre, condanna gli atti di crudeltà verso gli animali e il loro abbandono.
Inoltre, dalla lettura della Legge regionale emerge che il legislatore ha inteso affrontare i profili emergenziali del fenomeno del randagismo in Sicilia attraverso la previsione di un piano triennale e di uno annuale di programmazione degli interventi di prevenzione del randagismo, nonché attraverso la realizzazione di nuovi rifugi sanitari pubblici nelle Provincie e il rafforzamento delle norme a tutela igienica della collettività.
Altra novità senz’altro degna di nota è l’istituzione di un c.d. Garante regionale dei diritti degli animali, al quale è attribuito il compito di vigilare sulla tutela del benessere animale e perseguire una migliore convivenza con la collettività umana, sulle attività degli enti, delle istituzioni e dei soggetti – regionali o comunali – che operano con gli animali; di promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sui temi di diritti degli animali e convivenza con gli stessi; di proporre l’adozione di provvedimenti (anche normativi) al Governo della Regione Siciliana; di segnalare alle autorità competenti il mancato rispetto delle regole che disciplinano la vita degli animali da affezione; di curare i rapporti con le associazioni animaliste, con l’Assessorato regionale della salute, ovvero con gli ordini professionali dei medici veterinari.
L’art. 30 della legge in parola, infine, ha stabilito che le norme di attuazione verranno adottate attraverso un Decreto dell’Assessorato Regionale della Salute, previa acquisizione di un parere della Commissione Legislativa permanente dell’Assemblea Regionale siciliana competente in materia di Salute, servizi sociali e sanitari.
L’auspicio è che le norme di dettaglio che saranno contenute nel prossimo Decreto attuativo possano di fatto intervenire sul problema del randagismo attraverso misure di contenimento e di prevenzione che coinvolgano l’attività dei Comuni e le competenze delle Aziende Sanitarie Locali.
Orbene, i recenti interventi normativi testimoniano ancora una volta il crescente interesse del nostro legislatore per il tema della tutela giuridica degli animali, in linea con l’evoluzione della giurisprudenza e del sentire collettivo. Tuttavia, la questione si presenta di particolare delicatezza e complessità, poiché vengono in rilievo problematiche economiche, etiche, culturali e relative alla salute pubblica.
Il testo della legge regionale rispecchia questa complessità ed ha una natura evidentemente compromissoria che rappresenta, non un punto di arrivo, ma un punto di partenza, in una prospettiva secondo cui la tutela del benessere degli animali, della loro salute e vita, è un interesse autonomo che deve essere tenuto in considerazione e necessariamente ponderato con altri interessi e anche diritti umani.
In questo senso, peraltro, si è posto il giudice amministrativo in alcune pronunce recenti. Nell’ambito di una causa in cui veniva richiesto l’annullamento dei provvedimenti mediante i quali l’amministrazione competente aveva ordinato l’abbattimento di alcuni capi bufalini, al fine di tutelare l’interesse pubblico al contenimento del contagio e all’eradicazione della brucellosi, ancora la Sezione terza del Consiglio di Stato ha ritenuto di non condividere la posizione del TAR, in base alla quale gli unici due interessi in gioco sarebbero stati quello della salute pubblica e quello dell’operatore economico proprietario dei capi di bestiame, ma al contrario debba essere considerato anche l’interesse dell’animale.
In maniera diretta ed esplicita, il Collegio ha così ricordato come il benessere degli animali sia protetto a livello nazionale e comunitario e come il valore della vita degli animali non possa essere sacrificato senza adeguata ponderazione – ispirata a rigorosa valutazione del principio di precauzione e che, nel bilanciamento tra il diritto al benessere dell’animale – da intendersi come valore fondamentale in re ipsa – e il bene supremo della salute pubblica, nel caso di specie, questa non possa prevalere ex se, ma appunto debba essere bilanciata con siffatto valore.
Avv. Maria Elena Nocera, Componente direttivo UAS Agrigento