Succede che la Corte Costituzionale, con un’ineccepibile decisione di oggi, dichiari illegittima la norma, contenuta nell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Cassazione, impone il visto di censura sulla corrispondenza tra il detenuto sottoposto al “carcere duro” e il proprio difensore, poiche’ in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce il diritto di difesa.
Succede che una testata giornalistica, di cui preferiamo non fare il nome perché non vorremmo correre il rischio di farle pubblicità gratuita, poche ore dopo, commenti la decisione della Consulta, con un tweet inaccettabile in cui afferma che la sentenza renderebbe più facile per i boss mafiosi “ordinare omicidi e stragi per lettera”.
Dopo un’attenta riflessione pensiamo che la migliore risposta all’ignobile “assioma” si trovi proprio nella motivazione della sentenza della Consulta, laddove si evidenzia che la norma, operando automaticamente, riflette una “generale e insostenibile presunzione […] di collusione del difensore dell’imputato, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso”.
Come si dice in questi casi: non occorre aggiungere altro
Giovanni Battista Scalia – Presidente UAS
Alessandro Scalia – Presidente UAS Palermo
Marco Mule’ – Presidente UAS Agrigento