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APPELLO SENZA FIRMA DIGITALE: QUALI RIMEDI ?

L’appello privo di firma digitale è idoneo a consumare il potere di impugnazione? Risponde l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6 del 21.04.2022

Con la sentenza in commento, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione del principio di consumazione del potere di impugnazione, ha colto l’occasione per dipanare anche alcune questioni relativa alle forme del processo telematico, che ancora a volta non ci fanno dormire sonni tranquilli.

La pronuncia trae origine da un caso in cui l’appellante aveva notificato a mezzo p.e.c. un atto di appello privo della firma digitale e, una volta avvedutosi di tale carenza, non essendo ancora decorso il termine per l’impugnazione e non avendo depositato il primo atto di appello, aveva provveduto a rinotificare il gravame in forma corretta.

La VI Sezione del Consiglio di Stato, chiamata a decidere in ordine alla eccezione di improcedibilità dell’appello, deferiva all’Adunanza Plenaria “<la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere”, alla luce di “un contrasto di giurisprudenza nell’interpretazione e nell’applicazione del suddetto principio limitatamente, […] alla questione della necessità (o meno) che la ‘duplicazione’ dei gravami (mediante rinnovazione o ripetizione della notifica) sia motivata in senso assoluto dall’esigenza di riparare a vizi di nullità dell’atto che inevitabilmente conducono alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio trova applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione rimedia ad inerzie processuali della parte ovvero si fonda su strategie difensive della parte medesima, anche non palesate in atti”.

L’Alto Consesso ha, preliminarmente, rammentato che il principio in esame trova un presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni (ex multis, Cons. Stato, IV, n. 4266 del 2021, cit) e comporta, in estrema sintesi, che l’impugnazione di una parte, una volta ritualmente proposta, preclude alla stessa di formulare in un successivo momento degli altri profili di gravame o di riproporre le stesse censure, anche se il relativo termine non sia ancora scaduto, attraverso un nuovo atto di impugnazione, evidenziando però che, ai sensi del chiaro tenore dell’art. 358 c.p.c., la consumazione del potere di impugnazione consegue solamente alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’appello e che “in effetti, condicio sine qua non affinché un giudice possa dichiarare l’inammissibilità o improcedibilità del gravame – o, più in generale, pronunciarsi su di esso – è che quest’ultimo venga iscritto a ruolo, ossia depositato presso la Segreteria (o Cancelleria) del giudice medesimo. Deposito che, nel caso del processo amministrativo, ai sensi dell’art. 45 Cod. proc. amm. segue la notifica alle controparti e solo successivamente al quale può parlarsi di litispendenza”.

Ha, dunque, osservato che “presupposto imprescindibile – in primis di carattere logico – perché possa in ipotesi configurarsi la fattispecie su cui si verte è dunque che un’impugnazione in senso tecnico sia stata effettivamente proposta, nei termini in precedenza evidenziati”.

Inoltre, ha rilevato che, perché possa parlarsi di “consumazione” del potere di impugnazione, occorre che la medesima parte processuale abbia fatto seguire al primo atto di gravame “uno o più ulteriori gravami non solo – ovviamente – successivi al primo, ma in tutto o in parte diversi da questo, quanto a petitum o a causa petendi. Diversamente argomentando non potrebbe parlarsi di nuovi atti di appello … ma solo di rinnovazione degli incombenti processuali (notifica e deposito) relativi al medesimo atto, idonei non certo a modificare l’oggetto del giudizio – aspetto che il principio in esame mira in qualche modo a regolamentare – bensì, al più, a sanare eventuali vizi di carattere formale e/o processuale degli stessi”.

Pertanto, tenuto conto che, nel caso di specie, l’appellante non aveva iscritto a ruolo il primo gravame “irregolare” e considerata l’identità del secondo atto notificato rispetto al primo, ha escluso che la vicenda sottoposta al proprio esame fosse riconducibile al paradigma della consumazione del potere di impugnazione, difettandone entrambi i presupposti.

Alla superiore conclusione, l’Adunanza Plenaria ha, peraltro, voluto aggiungere alcune rassicuranti considerazioni su altri aspetti ritenuti rilevanti nella vicenda in esame.

Ha, invero, statuito che, ancorché non conforme alla disciplina del P.A.T., “pur tuttavia la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (ex art. 156, comma primo, Cod. proc. civ.), tanto più che lo stesso avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico (ex art. 156, comma 3, Cod. proc. civ), essendone certa l’attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese: ne consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, anche laddove sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l’atto era indirizzatova pertanto condiviso l’orientamento che qualifica il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un’ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, comma 2, Cod. proc. amm. (che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell’atto, nelle forme di legge)”. D’altra parte – ha precisato – “l’autonoma regolarizzazione dell’atto da parte dell’appellante (evitando il deposito del primo atto notificato e procedendo direttamente ad una nuova notifica, con successivo deposito di quest’ultima) rende inutile – superandola – la ripetizione di ciò che è stato già spontaneamente eseguito, in pacifica applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 Cod. proc. amm.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2 Cod. proc. amm.)”, così ritenendo valida ed efficace la rinnovazione della notifica autonomamente effettuata dall’appellante, senza la preventiva fissazione di apposito termine da parte del giudice ai sensi del citato art. 44 C.P.A.

Riepilogando, l’Adunanza ha formulato i seguenti principi di diritto:

1) vi è mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, comma 2, Cod. proc. amm., nel caso di un ricorso notificato privo di firma digitale;

2) in tal caso il ricorrente ben può, in applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 Cod. proc. amm.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2 Cod. proc. amm.), provvedere direttamente a rinotificare l’atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica;

3) in ordine infine al termine per il deposito del ricorso, di cui al combinato disposto degli artt. 94, comma primo e 45 Cod. proc. amm., lo stesso andrà fatto decorrere dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato.

Avv. Gloria Orlando socia fondatrice Unione Avvocatura Siciliana

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