Home » News » A CIASCUNO I SUOI LIMITI DIMENSIONALI

A CIASCUNO I SUOI LIMITI DIMENSIONALI

E’ solo di pochi giorni fa la notizia della temeraria decisione del Giudice di Pace di Verona, che ha disposto la compensazione delle spese di un procedimento monitorio sulla scorta di un’interpretazione libera e creativa delle disposizioni in materia di criteri di redazione e limiti dimensionati degli atti nel processo civile introdotte dal D.M. 110/2023, suscitando la veemente e condivisibile reazione delle Istituzioni e delle Associazioni forensi.

Eppure, c’è una parte di Avvocatura che, da alcuni anni ormai, è costretta a svolgere una vera e propria attività “sartoriale” di taglio e cucito per non incorrere nelle ben più gravose conseguenze dello sforamento dei limiti.

Nel settore della giurisdizione amministrativa, già con l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (D. Lgs. 104/2010), gli Avvocati hanno dovuto familiarizzare con i concetti di chiarezza e sinteticità posti dall’art. 3 tra i principi fondamentali del processo. Successivamente, con la Legge 197/2016, è stata introdotta nelle norme di attuazione (allegato 2 al codice), l’art. 13 ter, che, al primo comma, rinviava ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio di Stato, poi effettivamente adottato il 22 dicembre 2016, le vera e propria individuazione dei limiti, ma, soprattutto, al comma 5° stabilisce “il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione.

Nessuna discrezionalità, dunque, per il Giudice Amministrativo.

Infatti, “secondo la più corretta esegesi, tale previsione non lascia al giudice la facoltà di esaminare o meno le questioni trattate nelle pagine successive al limite massimo, ma, invece, in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità, obbliga il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine” (Cons. Stato, sez. V, 22.09.2023, n. 8487), poiché “il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all’ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell’interesse pubblico all’ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d’ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità” (Cons. Stato, 9.01.2023, n. 280).

Ma l’interpretazione più ortodossa delle norme può portare a decisioni ancor più drastiche della inammissibilità parziale delle questioni trattate nelle pagine eccedenti i limiti e foriere di gravi responsabilità per il difensore.

Appena pochi giorni fa, difatti, lo stesso Consiglio di Stato, quasi a voler entrare a piedi uniti nel dibattito tutto interno alla giurisdizione civile, ha dichiarato, con la sentenza n. 8928/2023, totalmente inammissibile un ricorso in appello di 87 pagine, riguardanti la complessa vicenda di un piano di lottizzazione, che sforava il limite massimo dei 70.000 caratteri, ritenendo che, in presenza di motivi di appello che il collegio non è tenuto ad esaminare, viene meno una parte essenziale per la identificazione della domanda, richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità, e, quindi, l’obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda nella sua globalità.

Mal comune mezzo gaudio ? Ovviamente no, ma non si può non segnalare la quantomeno tardiva (e probabilmente velleitaria) reazione all’introduzione di limiti dimensionali degli atti del processo civile, che è già stata tollerata in altri ambiti della giurisdizione, per di più caratterizzati da un processo di tipo impugnatorio e con conseguenze ben più nefaste.

Avv. Alessandro Scalia, Presidente di UAS

Condividi: