L’inesorabile progressiva evoluzione dell’intelligenza artificiale, del web e della robotica ha rivoluzionato il modo di pensare, di intrattenere rapporti sociali, economici e professionali, rendendo indispensabili apparecchiature informatiche dalle più semplici attività quotidiane ai più sofisticati settori ove l’intervento dell’uomo è ormai, mi si passi il termine, “di contorno”: si pensi al campo sanitario, militare o dell’informazione.
È proprio in questo ambito che si muove (o dovrebbe muoversi!) l’elaborazione normativa in tema di I.A. tra terreni inesplorati e difficoltà crescenti, con l’esigenza di affrontare l’argomento in una dimensione che superi i confini nazionali del diritto statale ed assuma caratteristiche globali.
È indubbio che nel rapporto tra I.A. e diritto ci sono principi e valori costituzionali che debbono essere universalmente garantiti (il rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza, della non discriminazione, della sicurezza e del rispetto della privacy) e limiti che non possono essere oltrepassati: ma quali sono questi limiti?
Un ambito delicato e che forse più di ogni altro risente dell’evoluzione tecnologica e dell’impiego dell’intelligenza artificiale è quello della cosiddetta “giustizia predittiva”, ossia di un sistema di algoritmi che consente di prevedere il possibile esito di una controversia sulla base delle precedenti soluzioni date a casi analoghi o similari.
Nel settore legale, il primo robot avvocato Ross ha fatto il suo debutto in uno studio legale (Baker & Hostetler, azienda legale americana) nel 2016, con la finalità di gestire i processi per bancarotta: “l’avv. Ross” è capace di monitorare il panorama giurisprudenziale con l’obiettivo di notificare eventuali nuove pronunce che possano interessare il caso oggetto di analisi.
È di tutta evidenza che, in un futuro non troppo lontano, l’evoluzione della giustizia predittiva potrebbe condurre a prevedere, con un livello di precisione vicino alla perfezione, l’esito di un procedimento giudiziario. In tal senso, l’utilità della decisione giudiziaria robotizzata o algoritmica viene apprezzata e spinta da chi pone l’accento sulla necessità di una giustizia rapida ed oggettiva scevra da condizionamenti soggettivi ed umorali.
Ma la Giustizia non può essere solo questo!
Se la rapidità di una decisione giudiziaria è un aspetto determinante del “giusto processo”, non può negarsi che l’effettività del diritto, la difesa delle parti, la capacità dell’istruttoria di far emergere peculiarità comportamentali, sono aspetti altrettanto determinanti e non collocabili in una dimensione standardizzata.
Sicché, se la prevedibilità del giudizio, quando è frutto di un elaborato confronto dottrinale e giurisprudenziale, è un valore indiscutibile perché conduce alla certezza del diritto è altrettanto vero che l’uso di procedure predittive “non può rappresentare motivo di elusione dei principi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa”.
Ha osservato infatti il Consiglio di Stato – nella nota sentenza n. 2270 del 2019 – che “… il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata deve essere conoscibile. … Tale conoscibilità deve essere garantita durante l’intero processo decisionale al fine di verificare che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni ed alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione”.
Il quadro normativo è, di tutta evidenza, ben lontano dal dirsi compiuto ed occorre che le Istituzioni non si facciano trovare impreparate di fronte all’implementazione dell’uso di tali strumenti e dalla inesorabile evoluzione dell’intelligenza artificiale.
Inevitabile per chi scrive chiudere queste brevi riflessioni con le sempre attuali e profetiche parole di Piero Calamandrei: “Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore. Infatti il processo, e non solo quello penale, è di per sé una pena che giudici e avvocati devono abbreviare rendendo giustizia.”.
Avv. Marco Mulè – socio fondatore Unione Avvocatura Siciliana e Presidente della Sezione UAS di Agrigento.