Tra le importanti innovazioni apportate dal D. Lgs 10 ottobre 20220 n. 150 (artt. 42-67), posto di indiscusso rilievo ha assunto, certamente, la disciplina della Giustizia Riparativa.
Tale dirompente novità, figlia di una massiva spinta ricevuta dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, integra, nelle prospettive del legislatore riformista italiano, il trade union tra la giustizia sanzionatoria tradizionale per il reo (il cui dogma centrale risiede sulla centralità della pena carceraria) e una rinnovata e più pregnante posizione della vittima del reato.
– SCOPO-
Tale nuova disciplina, proponendo una nuova interpretazione del conflitto tra le due parti antagoniste del processo, tende ad una ricomposizione dello “scontro”, alla riparazione del danno patito ed alla rieducazione del reo ma sotto una diversa prospettiva, moderando per esempio, il carcere quale soluzione irrinunciabile nelle sole ipotesi in cui si imponga il prevalere delle esigenze di difesa sociale nei confronti dell’autore del reato, la cui pericolosità sociale richiede di essere in tal senso neutralizzata.
Su tale scia, il nuovo art. 129 bis c.p.p., intitolato “Accesso ai programmi di giustizia riparativa” disciplina “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale- detto mediatore- adeguatamente formato.
Lungi dal voler ripercorrere, in questo “breve incontro del venerdì”, i singoli aspetti facilmente individuabili dagli Illustri lettori, ci si propone solo di porsi come spunto di riflessione sulla praticabilità di tale innovativo espediente processuale (il cui unico precedente, se così potrebbe definirsi, nel nostro ordinamento potrebbe essere il tentativo di conciliazione obbligatoria davanti al giudice di pace).
-PRINCIPI GENERALI E VALUTAZIONI DEGLI ESITI RIPARATIVI-
E’ fin troppo chiaro che i soggetti attivi dovranno essere “liberi di accedere alla G.R.”, non potendo essa essere imposta in alcun modo.
Alla fine del programma il mediatore stilerà una relazione che verrà inviata all’autorità giudiziaria competente che valuterà l’esito riparativo.
Ragion per cui se si trattava di un reato procedibile a querela ed il querelante ha partecipato al programma di G.R. concluso con esito riparativo la querela si intende rimessa, ai sensi dell’art. 152, comma 2 c.p., qualora gli impegni siano stati rispettati.
Se il reato è procedibile d’ufficio e vi è stato, appunto, un esito riparativo il giudice potrà prenderne considerazione ai fini della concedibilità di circostanze attenuanti comuni ex art. 63, comma 1 n. 6 c.p. ed anche in sede di esecuzione della pena, ex art. 163, ultimo comma c.p.
-ORGANI DI CONTROLLO-
Partendo dal logico presupposto previsto dall’art. 129 bis c.p.p., cui si rimanda, sulle modalità e sui tempi di richiesta e di disposizione della G.R, ci si chiede come sarà la concreta attuazione per il tramite di questa struttura organizzativa piramidale prevista dalla riforma, che vede al suo vertice la “Conferenza nazionale per la G.R.” istituita presso il Ministero della Giustizia; mediatori esperti, servizi per G.R., Centri per la G.R.
Formazione continua erogata dalle Università e dai Centri per la G.R.; obbligo di riservatezza per i mediatori; requisiti di accesso ai corsi ed iscrizione negli elenchi dei mediatori esperti in G.R. presso il Ministero della Giustizia.
Rimane il dubbio sulla omogeneità della formazione, in un ambito così delicato, stante l’ampia autonomia riconosciuta ai soggetti operanti nella rete della G.R.
Avv. Sarah Bartolozzi, Vice-Presidente UAS Palermo