La Sesta Sezione della Cassazione civile con sentenza n. 27374/2022 ha statuito che la convivenza rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare ex art.337 sexies c.c. comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso la stessa sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione di rarità di ritorni , ancorchè regolari, configurandosi in tal caso un rapporto di mera ospitalità.
Con la pronuncia succitata, la Corte ha rigettato il ricorso promosso contro la sentenza d’appello che respingendo il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, aveva confermato la revoca dell’assegnazione della casa disposta in sede di separazione personale, in favore della madre. Secondo la Cassazione il giudice d’appello avrebbe correttamente applicato con accertamento di merito , non sindacabile in sede di legittimità, la nozione di convivenza , rilevante ai sensi di legge.
Con l’introduzione del regime di affido condiviso, l’ art.337 sexies c.c. ha statuito che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli, al fine di evitare che gli stessi debbano subire, oltre al trauma in sé della separazione dei genitori, l’ulteriore pregiudizio correlato alla perdita della casa familiare ritenuta il centro di aggregazione dei lori affetti e delle loro abitudini quotidiane. Se non emerge l’interesse del figlio, le esigenze di tutela del coniuge debole cedono il passo di fronte ai diritti dominicali dell’intestatario dell’immobile, garantiti dall’art.42 della Cost..
L’assegnazione della casa coniugale esula delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, e non è intesa quale compenso per il coniuge più debole, rappresentando, esclusivamente, uno strumento che tutela i figli senza altre finalità. Tale principio vale anche per i figli maggiorenni che hanno, comunque un collegamento stabile con l’abitazione del genitore; quindi l’istituto dell’assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario dipende, solamente dall’effettiva presenza fisica del figlio nell’immobile suddetto. Occorre puntualizzare che la coabitazione può essere anche intervallata da periodi di assenza, da distinguere, però, da un mero rapporto di ospitalità caratterizzata da una frequentazione saltuaria e non abituale.
Perchè vi sia coabitazione, quindi, occorre che l’effettiva presenza del figlio sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese); il parametro della prevalenza temporale è certamente dirimente per giustificarne l’assegnazione al coniuge collocatario; se difetta la prevalenza temporale effettiva della presenza del figlio nell’abitazione, detta assegnazione va negata. Praticamente si esige una valutazione più rigorosa del presupposto della coabitazione, perchè diversamente si finirebbe per proteggere, come condizioni meritevoli di tutela, situazioni che sono da considerare recessive rispetto ai diritti del proprietario dell’immobile. In altre parole un immobile è casa familiare solo fintanto che viene vissuto come tale.
Alla luce dell’ orientamento della Cassazione appena citato , è compito del giudice di merito condurre una indagine sulla stabilità della convivenza, accertando con quale frequenza il figlio, che per motivi di studio, o di lavoro precario si allontana dalla casa familiare, torni nell’abitazione. Tale definizione concettuale impone una delicata operazione di bilanciamento, soprattutto in relazione alle fattispecie più sfumate.
Onde evitare, quindi, interpretazioni troppo estensive ovvero troppo rigide, la Suprema Corte ha precisato che l’assegnazione della casa familiare prescinde dalla residenza del figlio e dipende dall’effettivo riscontro di un suo rapporto stabile con la casa familiare sia in relazione ad una prevalenza temporale delle presenze sulle assenze, o, in subordine dalla frequenza e regolarità dei ritorni a casa.
In verità a modesto parere dello scrivente sarebbe opportuno riflettere, sulle conseguenze che incideranno economicamente sui coniugi a seguito dell’allontanamento dalla casa familiare del figlio, per motivi di studio; si porrà, infatti, per i coniugi, il problema di provvedere alle spese per la locazione di altro immobile presso la sede universitaria, e, tutto ciò, provocherà un nuovo assetto sul contributo di mantenimento, con conseguenze che inevitabilmente incideranno sulla assegnazione della casa familiare, la quale perderà il vincolo di destinazione che le era stato originariamente impresso, non rappresentando, più il nucleo di affetti e di abitudini consolidate, bensì un bene che, alla stregua di qualunque altro, dovrà essere restituito alla piena disponibilità dl legittimo proprietario.
Avv. M. Floriana Burgaretta, presidente della Sezione UAS di Catania