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L’ir-risolta questione dell’obbligo in capo alle Aziende Sanitarie Provinciali di concorrere al finanziamento delle prestazioni di inserimento obbligatorio dei soggetti affetti da disabilità psichica presso le Comunità-Alloggio

Da alcuni anni a questa parte si è registrato un crescente aumento di contenziosi giudiziari intrapresi da numerosi Comuni siciliani nei confronti delle Aziende Sanitarie Provinciali (c.d. “ASP”) al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute, relativamente alle rette di ricovero dei disabili psichici, ospitati presso istituti accreditati iscritti nell’Albo Regionale di cui all’art. 26 della L. Regionale n. 22/86.

Più specificatamente i Comuni, in conformità a quanto stabilito dalla L. Regionale n. 22/86 e dall’ulteriore complesso quadro normativo che verrà sinteticamente illustrato nel proseguo della presente trattazione, hanno l’obbligo di provvedere ai ricoveri segnalati dal Dipartimento di Salute Mentale, anticipando ai vari Istituti sia la quota di retta avente natura“sociale”, ad essi spettante, che quella avente natura “sanitaria”, con evidenti conseguenze disastrose in termini finanziari a carico dei Comuni.

Dal loro canto le ASP ritengono di non dover contribuire al predetto finanziamento in forza della assenza di un provvedimento ad hoc, idoneo a recepire il DPCM del 14 Febbraio 2001, che individua nel dettaglio le competenze tra le Aziende Sanitarie Locali e i Comuni in relazione allo svolgimento delle specifiche prestazioni.

Ed invero il nodo da sciogliere è se, in assenza di un rapporto contrattuale tra le ASP e i Comuni, sussista o meno una normativa che imponga alle ASP di compartecipare al pagamento del servizio di assistenza ai disabili psichici.

Sul tema si è recentemente pronunciato il Tribunale di Agrigento accogliendo le domande formulate da diversi Comuni e condannando le ASP alle rifusione delle predette spese nella misura del 40%, generando un orientamento sì positivo ma che risulta essere attualmente al vaglio della Corte di Appello di Palermo. (ex multis Trib. Agrigento n. 552/22 del 27/04/22; Trib. Agrigento n. 1036/22 del 18/07/22); .

Ciò posto, al fine di analizzare la questione oggetto della presente disamina, senza pretesa di completezza, occorre brevemente analizzare l’arzigogolato quadro normativo di riferimento.

Orbene, l’integrazione sociosanitaria affonda le proprie radici nella l. n. 833/1978, ove all’art. 5 stabilisce che la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni in materia sanitaria è esercitata dallo Stato con legge o atto avente forza di legge, nonché mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri.

E tuttavia la disciplina relativa all’individuazione dei finanziamenti di competenza dell’ambito sanitario rispetto a quelli relativi all’ambito sociale è da rinvenirsi nella l. n. 730/1983 ove, all’art. 30, stabilisce che le attività di rilevanza sanitaria, sebbene connesse con quelle socio-assistenziali, sono a carico del servizio sanitario nazionale.

Successivamente, il profilo della prestazione sociosanitaria, come altresì indicato dal Tribunale di Agrigento è stato delineato dall’art. 3 septies del D.lgs. n. 229 del 1999.

In particolare, il legislatore individua tre categorie di prestazioni sociosanitarie: “a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite; b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di handicap o di emarginazione condizionanti lo stato di salute“.

A queste prestazioni devono aggiungersi “le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità’ della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative”.

Nell’ottica di individuare le competenze tra le Aziende Sanitarie Locali e i Comuni in relazione alle specifiche prestazioni sopra descritte è stato emanato il DPCM del 14/02/2001, cui è seguito il DPCM 29/11/2001, con cui sono stati individuati i criteri di finanziamento a carico dei Comuni e del Servizio sanitario Nazionale a seconda delle diverse tipologie di prestazioni erogabili.

Ciò posto, il Tribunale di Agrigento ha chiarito che in ambito regionale il riferimento normativo sia costituito, in primo luogo, dalla L. R. 9 maggio 1986, n. 22 che, all’art. 16 attribuisce ai comuni, singoli od associati, la titolarità delle funzioni in materia socio – assistenziale previste dalla Legge regionale Sicilia del 14/09/1979 – N. 215, che disciplina gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali.

In particolare la Legge Regione Sicilia n. 22/86 disciplina gli interventi di coordinamento ed integrazione dei servizi socio assistenziali e sanitari che i Comuni e le Unità sanitarie Locali sono obbligati a garantire nei confronti dei cittadini indigenti in possesso di determinati requisiti. Tra i servizi obbligatori da garantire alla collettività, come sopra anticipato, è contemplato il ricovero dei disabili psichici presso strutture protette, regolarmente iscritte all’Albo Regionale per la specifica tipologia, previsto dall’art. 26 Legge Regione Sicilia n. 22/86.

Quanto ai criteri di riparto della spesa, inoltre, il Decreto Presidenziale del 4 novembre 2002, denominato “Linee guida per l’attuazione del piano socio-sanitario della Regione siciliana”, richiama espressamente il DPCM 14 febbraio 2001 e ne riporta pedissequamente il contenuto relativo ai criteri di finanziamento.

Secondo il Tribunale di Agrigento le ASP sono pertanto titolari di un’obbligazione ex lege la cui esistenza non può essere condizionata dall’adozione o dalla mancata adozione di normativa di rango secondario.

Non è apparso condivisibile l’assunto secondo cui l’operatività del DPCM del 14/02/2001 fosse condizionata all’emanazione di norme di attuazione da parte della regione siciliana, in ragione dell’individuazione, nel predetto Decreto, di un nucleo essenziale avente contenuto precettivo, nella parte in cui prevede l’obbligo dell’ASP alla compartecipazione alle spese per l’assistenza dei disabili psichici.

Vi è da aggiungere che la superiore lettura interpretativa trova conferma anche nella giurisprudenza amministrativa che ha attribuito la stessa natura al predetto Decreto con la sentenza del TAR Sicilia n. 2509/12 che, sebbene riferita a profili parzialmente diversi da quelli oggetto della presente trattazione, conferma tuttavia la piena vigenza del DPCM del 14/02/01 nei confronti della Regione Sicilia.

Infine l’aspetto finanziario dell’integrazione ha condotto il Tribunale di Agrigento a rilevare come “l’obbligo di compartecipazione”, sussistente in capo alle ASP, discenda altresì da una lettura delle norme costituzionalmente orientata che trova il suo fondamento nell’art. 117 della Cost.

In particolare la sentenza fa riferimento all’espressa enunciazione della garanzia di livelli essenziali e uniformi nelle prestazioni concernenti diritti appositamente individuati dal legislatore statale: prestazioni tra le quali assumono rilievo pregnante proprio i Livelli Essenziali di Assistenza c.d. “LEA” già individuati dalla L. n. 833/78 sopra citata.

La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prosegue il Tribunale, citando la Corte Costituzionale, deve essere una competenza del Legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle” (Corte Cost, sentenza 62/2013).

E tuttavia al fine di garantire l’effettiva erogazione di prestazioni essenziali previste dal legislatore a tutela di beni di rango costituzionale si rende necessario un intervento da parte delle diverse amministrazioni coinvolte, nel rispetto delle reciproche competenze e del principio di “cooperazione”.

Pertanto il concorso alla spesa dei soggetti pubblici coinvolti nell’esecuzione della prestazione stessa diviene altrettanto indispensabile, nel rispetto delle regole di bilancio e dei principi di pianificazione finanziaria dei soggetti pubblici.

In definitiva sulla scorta della lettura costituzionalmente orientata delle norme in commento la compartecipazione alla spesa da parte dei soggetti pubblici coinvolti appare, per il Tribunale di Agrigento “condizione necessaria per la tutela uniforme del bene salute e dei LEA in tutto il territorio nazionale, nonché corollario del più generale principio del pareggio di bilancio, costituzionalizzato per effetto della L 1/2012, secondo cui tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio e la sostenibilità del debito (art. 97 comma 1 Cost.)”. (Cfr. Trib. Agrigento n. 552/22 del 27/04/22).

E tuttavia il tema resta aperto. Le sentenze rese dal Tribunale di Agrigento sono state impugnate e attualmente la loro efficacia è sospesa.

E’ indubbio che per i Comuni in dissesto, o a rischio default le somme, ad essi riconosciute e non ancora riscosse, costituiscono una risorsa indispensabile per consentire la continuità dell’erogazione del servizio e per la sopravvivenza delle stesse Comunità-Alloggio.

Nondimeno l’indifferibile esigenza di assicurare ai disabili pschici la tutela del loro diritto fondamentale alla salute, non può essere ancorata alle pronunce giurisprudenziali, ma necessita di essere garantita dal legislatore regionale, il cui intervento non può che essere auspicato.

Avv. Irene Eballi, Componente del Direttivo UAS di Agrigento.

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