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SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA. APPLICABILI LE PREVISIONI DI CUI ALL’ART. 2013 C.C. NELL’IPOTESI DI SVOLGIMENTO DI MANSIONI SUPERIORI.

La Corte di Appello di Palermo, Sez. Lavoro, con sentenza n. 1228/2022, in continuità con quanto affermato in altro precedente risalente al 2018 e quanto di recente statuito dalla Suprema Corte di Legittimità (sent. nn. 35421 e 35422 entrambe del 01 dicembre 2022), ha affermato che nell’ambito delle Società a partecipazione pubblica (anche nella peculiare forma di società in house providing) i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati e non dalle diverse previsioni di cui al D.Lgs. n. 165/01, con la conseguenza che – laddove venga in rilievo lo svolgimento di mansioni superiori – deve trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 2103 c.c.

Con la pronuncia in commento, la Corte di Appello ha ancora una volta preso posizione su una delicata questione giuridica strettamente connessa alla natura pubblica delle somme che vengono utilizzate per il funzionamento di tali peculiari società.

Al riguardo, in termini generali, giova preliminarmente osservare come la disciplina che è stata dettata, negli anni, al fine di regolare il fenomeno di tali peculiari società, è stata davvero variegata e di difficile interpretazione anche in considerazione delle diverse problematiche poste all’attenzione degli interpreti quali, per esempio, quella relativa alla responsabilità degli amministratori e dei dipendenti, quella afferente il tema della crisi di impresa e fallimento o, ancora, a quella della illegittimità degli atti correlati alla gestione dell’impresa.

Alla semplificazione di tale disparato quadro normativo, il Legislatore ha posto fine mediante l’adozione del D.Lgs. 175/2016 che ha finalmente individuato il complesso normativo applicabile a tali peculiari Società, anzitutto affermando un principio generale volto a riaffermare la primazia delle regole civilistiche per le società a partecipazione pubblica le quali trovano applicazione “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto”.

Ed invero, il comma 3, dell’art. 1 del prefato D.Lgs. testualmente dispone che: “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato.”.

L’art. 19, comma 1, per quanto riguarda l’aspetto lavoristico, sancisce che: “salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti della società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi”.

Sicché, tale disposizione avrebbe dovuto chiarire in modo univoco sul piano esegetico e metodologico che, salvo deroghe espresse (quali, ad esempio, quelle relative alla disciplina del reclutamento e delle assunzioni di cui, rispettivamente, agli artt. 19 e 25) l’interprete dovrebbe individuare nelle disposizioni lavoristiche proprie del settore privato e non del settore pubblico  la regolamentazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della società controllo pubblico (in cui rientrano anche le società in house, proprio perché caratterizzate dal c.d. “controllo analogo”).

Tuttavia, nonostante il tenore letterale della norma in commento, proprio con riferimento alle concrete ipotesi di svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle di formale inquadramento, si sono registrati nei Tribunali e nelle Corti territoriali indirizzi interpretativi contrapposti.

Ad esempio le Corti di Appello di Catania e di Messina, in plurime occasioni, hanno escluso che nell’ambito di tali peculiari società potesse trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 2013 c.c..

In sintesi, secondo tale opzione interpretativa: “… affermato, dunque, che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e/o selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, nella specie non può che operare il richiamato principio secondo cui, anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, la regola della concausalità, imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce, parimenti, la legittimità dell’attribuzione di un inquadramento superiore – in particolare, a una fascia superiore – al di fuori di una procedura selettiva … Diversamente opinando, del resto, si finirebbe nella specie per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come evidenziato dalla Suprema Corte, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di estendere l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost. ai soggetti che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale. Invero, pur mantenendo i rapporti di lavoro alle dipendenze delle società partecipate natura privatistica, nondimeno la disciplina della selezione del personale di cui all’art. 18 del D.L.vo n. 112/08, caratterizzata da limiti e vincoli procedurali, trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di trasparenza e verificabilità dei procedimenti d’assunzione (intesi nel senso dianzi indicati) e nella specifica attenzione al tema della spesa, entrambe collegate alla natura dell’ente detentore, in tutto o in parte, del capitale sociale; in questo contesto il richiamato (e previgente) art. 18 mira a garantire, da un lato, l’uso trasparente delle risorse pubbliche e, dall’altro, la migliore qualificazione possibile del personale, sì da essere considerato quale norma interposta dell’art. 97 Cost. (e dunque quale norma imperativa ex art. 1418, primo comma, cod. civ.).” (Corte d’Appello di Catania, n. 780/2019).

A sua volta la Corte d’Appello di Messina (sent. n. 52/2020), muovendo dai medesimi presupposti, ha evidenziato come: “… pur non dovendosi ritenere la società appellata, in linea generale soggetta al regime giuridico di cui al D.Lgs. n. 165/01, una considerazione sistematica di tutta la normativa che la riguarda indice inevitabilmente a ritenere che l’applicazione della normativa dii diritto comune vada esclusa in materia di assunzione di personale e di passaggio del personale ad un inquadramento superiore. E’, dunque, applicabile al caso di specie l’articolo 52 del D.lgs.vo n. 165/01”.

Secondo altra opzione ermeneutica, invece, la individuazione, ad opera del D.Lgs. n. 175/2016, di alcune specifiche deroghe all’applicabilità delle norme civilistiche a taluni aspetti del rapporto di lavoro, non comporta affatto che ai contratti di lavoro stipulati da tali società possa tout court applicarsi quanto variamente disposto dal TUPI.

E’ stato osservato, infatti, che: “… Con riferimento specifico al tema dell’applicabilità agli enti societari in oggetto della disciplina dell’impiego pubblico, si osserva inoltre che le società a totale partecipazione pubblica, ivi comprese quelle in house, non sono ricomprese nell’elenco dei soggetti che l’art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001, con norma di carattere definitorio, qualifica come pubblica amministrazione ai fini dell’applicazione del testo unico del pubblico impiego. In senso contrario non potrebbe invocarsi, d’altro canto, l’art. 18, comma 1 d.l. 112/2008, il quale – lungi dall’effettuare un rinvio generalizzato alla disciplina del pubblico impiego – si limita a richiamare l’osservanza dei principi affermati dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. 165/2001 per il reclutamento del personale e il conferimento degli incarichi da parte delle società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, intendendo pertanto disciplinare unicamente la fase propedeutica (di ricerca e selezione del personale) all’istallazione del rapporto di lavoro e, per converso, implicitamente rimettendo al diritto comune la disciplina delle successive fasi, di instaurazione e di gestione del rapporto di lavoro con i neo assunti. Alla luce dei rilievi effettuati deve ammettersi che … sotto il profilo più precipuamente giuslavoristico, di disciplina cioè del rapporto di lavoro già instaurato, non potrebbe rilevare la (ritenuta) natura sostanzialmente pubblicistica della società resistente, dovendosi invece avere riguardo alla veste societaria, formalmente privatistica, dell’ente datore di lavoro … Ne deriva che in tema di mansioni la norma di riferimento, per la società resistente, non può essere quella di cui all’art. 52 T.U.P.I., ma deve essere individuata nell’art. 2103 … il quale consente di attribuire rilievo al solo svolgimento in fatto di mansioni corrispondenti ad un superiore livello di inquadramento per il periodo individuato dai contratti collettivi (e comunque non superiore a tre mesi) a nulla quindi potendo rilevare, nel caso di specie, il profilo inerente alla eventuale illegittimità – per inosservanza della disciplina legislativa sul contenimento della spesa pubblica ovvero per la violazione delle regole statutarie di riparto delle competenze interne tra gli organi dell’ente – del provvedimento datoriale di adibizione a mansioni superiori” (Trib. Agrigento, nn. 651/2016 e 98/2021; Trib. Palermo, nn. 3342/2018, 119/2019, 3189/2020, 4935/2021 e 4939/2021; Corte d’Appello di Palermo, n. 487/2018).

Ebbene in tale articolato contesto interpretativo è nuovamente intervenuta la Corte di Appello di Palermo (sent. n. 1228/2022) che, dopo aver richiamati i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione con riguardo alla natura privatistica delle società in house (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016), ha ribadito l’applicabilità ai rapporti di lavoro subordinato instaurati con le società a partecipazione pubblica dell’art. 2103 cod. civ. e non dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, al riguardo richiamando anche quanto evidenziato dai Giudici del Supremo Collegio (sent. n. 35421 e 35422 del 01 dicembre 2022) secondo cui: “Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, pertanto, l’attribuzione della qualifica superiore avviene nell’ambito dell’unico rapporto già costituito e non determina l’instaurazione di un rapporto autonomo, distinto dal precedente, sicché non può essere equiparata all’assunzione. Alla luce del richiamato principio, applicabile alle società a partecipazione pubblica per la natura privatistica delle stesse e dei rapporti dalle medesime instaurati, è da escludere che la disciplina del reclutamento, dettata dapprima dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e poi dall’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, possa essere interpretata nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera … In altri termini, fermo restando che le procedure di reclutamento imposte dalle disposizioni inderogabili più volte richiamate costituiscono formalità necessarie per l’instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità, sulla previsione delle stesse non si può fare leva per ritenere derogata, in assenza di un’espressa previsione normativa, la disciplina delle mansioni del rapporto già costituito, sia perché alle società partecipate non possono essere estesi né l’art 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 né i principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di concorsi pubblici interni”.

Pertanto, alla luce dell’orientamento in ultimo richiamato, come corroborato dai recenti pronunciamenti della Suprema Corte di Legittimità, sembra doversi affermare la piena applicabilità delle previsioni di cui all’art. 2013 c.c. anche nell’ambito dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico.

Avv. Mario La Loggia, Componente Direttivo UAS Agrigento

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